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Dalla vocazione maggioritaria al “Rischiatutto”: Pd ora di fronte al puzzle

Ha assorbito in un tritacarne sinistra, centro e centrosinistra, logorandosi sempre più. O unisce i pezzi con un programma o rischia grosso

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Sono anni e anni che il Pd è andato sgretolandosi e perdendo pezzi! «Paghi tre e prendi uno», verrebbe voglia di dire nel guardare la storia di questa formazione che, nata dall’unione di più forze politiche diverse, ha assorbito nel proprio tritacarne la sinistra, il centro e il centrosinistra per poi logorarsi col tempo sempre di più, fino allo striminzito 18-19% delle ultime elezioni politiche del 2018. Il risultato è stato quello di lasciare irrisolti gran parte dei problemi nazionali, di contribuire a portare l’astensionismo al 40%, di lasciare spazio alla destra e al centrodestra e quello di contribuire a consegnare addirittura il 32% del Parlamento in mano a chi il Parlamento lo voleva aprire come una scatoletta di tonno.

A ogni fallimento politico o batosta elettorale qualche avvicendamento ai vertici, un minimo di autocritica più a parole che nei fatti e poi via, tutto come prima, nell’inconcludenza più assoluta accompagnata da qualche slogan tanto altisonante quanto vuoto e insignificante.

È così che nell’ultimo quadriennio si è passati dal pop-corn sul divano, al governo giallo-verde, poi al governo giallo-rosso, poi ancora al governo Draghi con il Pd sempre a rimorchio delle circostanze e senza mai esprimere qualcosa in grado di lasciare un segno, fino all’attuale crisi che il Pd, come dichiarato dal suo leader, si appresta a osservare «con gli occhi della tigre» per mostrare tutta la sua determinazione nel voler vincere le elezioni (del resto «quando il Drago manca la tigre zompa» verrebbe voglia di dire… ma cerchiamo di rimanere seri).

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In una tale situazione, peraltro non improvvisa ma andatasi delineando ben chiaramente nel corso degli ultimi giorni, con appena tre settimane di tempo per presentare le liste e solo due mesi per andare al voto, quello dei programmi dovrebbe essere il problema più urgente, anche perché in un Paese appena appena normale è sui programmi che andrebbero costruite le alleanze.

E invece no: nel mare tempestoso della sinistra italiana vediamo galleggiare ormai un solo zatterone, da tempo sul punto di naufragare tanto che alcune delle scialuppe che gli girano intorno si sono staccate proprio da esso, e ogni tanto appare qualche nuovo piccolo cantiere in grado forse di costruire qualche barca, magari sempre più grossa, in grado non dico di sostituire necessariamente lo zatterone ma di navigare vicina a esso come fossero una flotta. Ma qual è la cosa strana? È che se il comandante di una di queste nuove imbarcazioni dice: «Ma prima di fare una traversata insieme vogliamo discutere della rotta e dei piani di navigazione?» viene subito additato come un guastafeste rompiscatole.

Fuor di metafora, che il gioco è bello quando dura poco, non riesco a capire cosa ci sia di tanto strano nella richiesta di Carlo Calenda di parlare delle alleanze solo dopo aver valutato i programmi?

Dice: «È il modo che non va: dirà anche cose giuste ma le dice in modo arrogante». Ma santa pace… ci sono tre settimane per fare le liste, il Pd gioca coi manifesti usando la fotografia di Mario Draghi che saluta sorridente (non si capisce se all’arrivo o alla partenza) con sotto scritto: «L’Italia è stata tradita. Il Pd la difende. Tu sei con noi?», Letta fa la corte a Di Maio, Zanda la fa a Conte, chissà che qualcuno non stia pensando se cercare di imbarcare anche Di Battista che ha annunciato il suo ritorno dall’estero… e il problema è l’arroganza di Calenda?

Dice: «Ma Calenda mette le sue condizioni e così facendo indebolisce il centrosinistra e fa vincere la destra». Ma vivaddio, uno che ha delle idee e delle condizioni da mettere!

Dice: «Ma andando da solo prenderà sì e no il 5% e qui invece c’è da battere la destra». Ma perché, per battere la destra l’unico modo possibile è appiattirsi sulle posizioni (quali?) del Pd, che sono anni ormai che perde consistenza? Non sarà magari il caso che il Pd provi a dare più ascolto agli altri e provi a cambiarle un po’ queste sue posizioni? Prima ha dato fiducia a Di Maio, poi ha fatto i manifesti per dire che aveva una parola sola e quella parola era “Conte”, ora fa la corte a tutti e due… e però Calenda no! Calenda è arrogante e pone condizioni.

La verità è che Calenda è giovane, competente, pragmatico e guarda lontano: ok battere la destra il 25 settembre ma se non ci si riesce questa volta con questo Pd ci si potrà provare la prossima volta fra cinque anni.

Quanti voti prenderà Azione a settembre? Il 5%? Il 10%? Quanti voti prenderà il Pd? Manterrà il suo 18-19%? Ne prenderà di più? Il M5s in meno di dieci anni, anche per “merito” del PD, è arrivato a più del 32%: se c’è riuscito Di Maio ci potrà riuscire anche Calenda. Io forse non lo vedrò ma mi piace poterlo pensare.

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Achille Nobiloni
Achille Nobiloni
Nato a Frascati (Roma) nel 1952. Giornalista pubblicista. Dieci anni corrispondente del Messaggero dalla provincia; quindici anni redattore dell'agenzia Staffetta Quotidiana Petrolifera, venti anni dirigente d'azienda in Agip Petroli e in Eni nella direzione Relazioni Esterne e Rapporti Istituzionali. Attualmente in pensione, appassionato di storia locale e arte.
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