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HomeAttualitàDiana, vittima innocente della sofferenza e della “invisibilità” sociale dei deboli

Diana, vittima innocente della sofferenza e della “invisibilità” sociale dei deboli

Essere madre implica 12 funzioni mentali in sufficiente conservazione. Sul banco degli imputati va anche chi ha visto, capito, non denunciato

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Piccola Diana: «Cosa è passato nella testa ad Alessia Pifferi? Cosa prende a certe madri?». Premetto che non si può generalizzare ma solo parlare di questo caso per il poco che ne sappiamo e che, peraltro, proviene dalle notizie della stampa e non da fascicoli giudiziari. Questo caso non è assimilabile ad altri, quindi l’errore è insito nella domanda: le generalizzazioni sono da evitare.

La risposta l’ha data lei: «Non sono una cattiva madre». Sapeva che la sua piccola, provata di cure, di attenzioni, abbandonata a sé stessa, sedata o meno, per una settimana, sarebbe potuta morire, tuttavia l’ha lasciata prima per alcune ore, poi per alcuni giorni, poi per una settimana.

Dopo aver sfiorato la tragedia un numero infinito di volte, la disgrazia è successa, come era inevitabile che fosse e tralascio sull’utilizzo eventuale di benzodiazepine perché la bimba non piangesse, perché ancora non è stato del tutto accertato ma, soprattutto, perché ciò nulla di nuovo apporta a una situazione che – già di per sé – è da devastazione sociale.

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Luigi Cancrini, già presidente dell’Ordine degli psicologi, ha commentato: «Il Gip l’ha vista lucida e non ha chiesto una perizia psichiatrica […]. Si può affermare tranquillamente che quella madre, la madre che non piange e appare vestita di rosso con un sorriso freddo stampato sul viso sulle pagine di tanti giornali, soffre di un disturbo psicotico di cui avrebbe dovuto essere curata già da molto tempo».

Meravigliarsi e condannare quella donna alla peggiore delle tribolazioni, ovviamente, frasi come «anche gli animali si curano dei propri cuccioli» ecc. ecc. non serve a nulla. Dire «ecco lì, si gioca la carta dell’infermità mentale», serve ancora meno. Guardate invece di giudicare, sappiate almeno in che Stato viviamo.

Cosa accade a un imputato che commette un reato e che viene giudicato colpevole ma con vizio totale o parziale di mente? Credete, forse, che se ne vada a casa e tante scuse? Non è così, ad ogni modo, non è questo il punto.

Donna di 37 anni con bambina di sedici mesi. Chiunque sia madre sa che, quando si ha una figlia di quell’età, ci sono giorni in cui non si riesce ad andare in bagno o togliersi il pigiama. Il concetto di “madre” ha delle implicazioni, non è solo una parola, è una funzione che non può esaurirsi in un vocabolo o in un significato biologico legato al mero generare, ha un fondamentale significato simbolico: la madre accompagna e guida il bambino sul mondo, che restituisce il primo sguardo su di sé iniziando a costruire il proprio senso di identità.

Per fare questo, occorre avere dodici funzioni mentali in uno stato di sufficienza di conservazione mentre, nella signora, lo stato di differenziazione e intimità era del tutto mal tarato, non parliamo della capacità di adattamento e resilienza, passando per le difese ed il coping «Non sono una cattiva madre» significa utilizzare la negazione come difesa, tipica degli psicotici, identità e relazioni del tutto disfunzionali, autoconsapevolezza ed autodirezionalità inesistenti.

In poche parole, è una donna che è completamente in balia del suo funzionamento disturbato e che ha pochissime risorse. Ha lasciato una creatura di poco più di un anno in condizioni che non menziono per non offuscare con immagini di degrado quella bimba, che voglio invece oggi immaginare sistemata, almeno per il suo ultimo viaggio, fra giochi e orsacchiotti, profumata e ben pulita come avrebbe dovuto essere da mani pietose di madri che hanno saputo farlo per i loro cuccioli. È tutto quello che si può fare adesso, per lei.

Inutile, quindi, tutti i vari «Non merita di essere madre», «Merita di morire», «Non merita di vivere»: il vero fallimento è dei servizi sociali, che non sanno stare nel disagio, nel territorio e non lo riconoscono. Una bambina non può sparire dal mondo dopo le dimissioni alla nascita e non avere un pediatra, controlli regolari, una vicina che la sente piangere.

Il farmacista che conosceva e immaginava la situazione che dice, oggi, che Alessia era cambiata dopo la nascita della piccola Diana, che era diventata bizzarra, con vestiti troppo appariscenti, colorati e che, date le forme arrotondate della maternità, non le donavano, sortite non proprio “nelle righe” e questa bambina scomparsa, praticamente, dalla faccia della terra.

Certo, la madre l’ha lasciata morire crudelmente, in abbandono: chissà quanta paura, quanta angoscia, povera piccola. Chissà quanto ha pianto prima di rassegnarsi che nessuno l’avrebbe soccorsa.

Chi ha colpa? Forse la Pifferi non sarà giudicata incapace (funzionamento psicotico non significa incapacità o, almeno, non necessariamente), ma sul banco degli imputati ci sono tutti coloro che hanno visto, capito e non denunciato e gli organi locali dello Stato.

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Daniela Cataldo
Daniela Cataldo
Psicopatologa forense e psicoterapeuta. Cultrice della materia in psicoterapia forense alla Lumsa.
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