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La pesca: logica o illogica?

La pesca industriale nel corso degli anni ha impoverito le risorse marine, compromettendo l’esistenza di habitat delicati e portando quasi all’estinzione alcune specie con prelievi eccessivi e indiscriminati che hanno finito per danneggiare il settore della pesca artigianale: ogni anno si rimuovono oltre 90 milioni di tonnellate di fauna ittica dai mari

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Si pensava, in passato, che il mare fosse una risorsa infinita, che i suoi frutti non sarebbero mai scomparsi, che avrebbe continuato a donare cibo indipendentemente da come l’uomo si sarebbe comportato nei suoi confronti: ma tutto ciò era sbagliato.

Il mare e le sue creature seguono le logiche dei cicli vitali: nascono, crescono, si riproducono, muoiono e rischiano di estinguersi. Quest’ultima possibilità, la più grave, prende forma nel momento in cui si ci ferma a ragionare su come l’intervento dell’uomo sia stato cosi massiccio negli ultimi decenni, complice un grande aumento dei consumi dei prodotti ittici a livello mondiale, nel prelievo di risorse ittiche con una pesca professionale sempre più invasiva e distruttiva. È questa la premessa da cui sono partite tante associazioni internazionali con lo scopo di sensibilizzare i paesi per promuovere una pesca meno indiscriminata e deleteria.

Cosa si è fatto di concreto?

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Il primo obiettivo è stato senza dubbio, quello di garantire la conservazione delle risorse marine e quindi di dare la possibilità agli esemplari giovani di diventare riproduttori e quindi di proseguire il ciclo biologico della specie rimanendo produttiva e in salute. Si è trattato di mettere in atto una pesca che preleva dal mare solo ciò che serve, senza perdite e utilizzando attrezzature con basso impatto sull’ambiente e sulla fauna marina. Una pesca che considera il mare e le sue risorse un bene comune, da difendere.

Sono tantissime le imprese che operano nel rispetto delle regole, secondo principi etici e di responsabilità verso il mare e l’ambiente, ma sono in gravi difficoltà a causa della pesca definita “industriale” che domina il mercato globale del pesce che però impoverisce le riserve pescando in modo eccessivo e spesso distruttivo. La pesca industriale nel corso degli anni ha impoverito le risorse marine, compromettendo l’esistenza di habitat delicati e portando quasi all’estinzione alcune specie con prelievi eccessivi e indiscriminati che hanno finito per danneggiare il settore della pesca artigianale: ogni anno si rimuovono oltre 90 milioni di tonnellate di fauna ittica dai mari.

Quali sono le basi che definiscono una pesca “sostenibile”?

Sicuramente è fondamentale impiegare tecniche e strumenti che mantengano le aree di pesca in condizioni ottimali. Nella pesca sostenibile sono consentite attrezzature selettive come le nasse, una sorta di trappola a imbuto contenente esche di vario tipo che permette di selezionare il pescato. Le reti a circuizione, usate soprattutto per la cattura del pesce azzurro che funzionano in combinazione con una potente fonte luminosa: sono molto selettive se usate correttamente.

Il palangaro di fondo, utilizzato per la cattura di grandi pelagici, è un insieme di ami collegati a un sostegno e calati in prossimità del fondale: è piuttosto sostenibile se usato correttamente.

La rete da imbrocco o rete da posta, costituita da un unico pezzo di rete fissata ad una linea di galleggianti e a una di piombi, permette catture monospecie e monotaglia: è un attrezzo molto selettivo.

Ma purtroppo esistono attrezzi da pesca a fortissimo impatto ambientale usati per la pesca industriale come le tonnare volanti, reti di circuizione di grandi dimensioni che comportano la cattura accidentale di specie indesiderate o protette come squali, delfini e tartarughe marine. Il palangaro derivante, un lungo cavo di nylon al quale sono collegati un grande numero di ami: il sistema è lasciato in balia del vento e delle correnti per la cattura di grandi pesci pelagici ma cattura accidentalmente anche squali, delfini e tartarughe marine.

Le reti da traino o strascico che vengono trascinate sul fondale per la cattura di specie di fondo: hanno un forte impatto sugli habitat e sulle specie marine di fondo.

Le draghe turbosoffianti, usate soprattutto per la pesca dei molluschi, smuovono il fondale con potenti getti d’acqua mentre un rastrello raccoglie ogni organismo presente: è tra gli attrezzi più dannosi.

Anche a livello legislativo si è fatto molto con l’istituzione del fermo pesca durante i periodi riproduttivi, con l’obbligo del rispetto delle taglie minime pescabili per ogni specie ittica. Si è regolamentata la larghezza minima delle maglie delle reti per evitare la cattura di esemplari sottotaglia, si sono fissate delle quote massime di pesca giornaliere in chilogrammi come anche la durata in ore delle battute e fissato limiti di profondità e di lontananza dalla costa. Si sono create aree protette dove alcune specie vanno regolarmente a deporre le uova con un controllo radar delle rotte dei pescherecci in tempo reale. Si è inasprita la lotta alla pesca di frodo e illegale aggiornando il sistema sanzionatorio.

La nostra parte

Ma come sempre, tutto questo non basta, fino a quando anche noi consumatori non faremo la nostra parte, la più importante, per aiutare il mare: dobbiamo imparare a consumare meno e meglio perché la domanda condiziona l’approccio e le caratteristiche della pesca oltre a determinare le quantità prelevate. Dovremmo imparare ad apprezzare più specie invece di concentrarci solamente su quelle più richieste: il pesce più sostenibile è quasi sempre anche quello meno richiesto. Fra i motivi che fanno escludere alcune specie dalle nostre scelte c’è sicuramente l’elevata presenza di lische che però nulla tolgono sul piano gastronomico e nutrizionale: esistono tante ricette tradizionali che sanno valorizzare pienamente anche il pesce più sostenibile, poco noto e meno commercializzato.

Consumiamo pesce senza renderci complici della distruzione del mare preferendo quello di stagione, locale e pescato con metodi sostenibili. Con le nostre scelte possiamo contribuire a cambiare il mercato ittico, privilegiando prodotti che provengano da una pesca che non danneggia e svuota il mare: le scelte alternative sono tante. È molto importante saper leggere le etichette, ci forniscono importanti informazioni per fare una scelta davvero responsabile: categoria di attrezzi da pesca utilizzati, zona specifica di cattura, nome comune e scientifico della specie, metodo di produzione e il costo. In conclusione, chiediamoci: rimane abbastanza pesce negli oceani? Quale può essere, nel tempo, l’impatto della pesca industriale? Le aziende della pesca sapranno invertire la loro condotta? Noi saremo in grado di cambiare le nostre comode abitudini alimentari?

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Matteo Lai
Matteo Lai
Naturalista, subacqueo, velista ed esperto di educazione ambientale: il mare è la sua passione. Da qualche anno collabora con una società che si occupa di turismo scolastico dove si occupa di educazione ambientale e vela puntando sempre la sua attenzione sui temi della tutela ambientale e della natura. Con la fondazione di One World ha un obiettivo molto semplice: sensibilizzare i cittadini sul valore della tutela ambientale. One World, che ha sede ad Andria (BT), è un’associazione no profit per la tutela ambientale, nata dal desiderio di smuovere la coscienza sociale al fine di radicare nuovi valori ed innescare, così, un circolo virtuoso di comportamenti eco–friendly consapevoli. Tutte le attività che l’associazione One World promuove hanno sempre una valenza educativa finalizzata alla diffusione di una maggiore conoscenza, sensibilizzazione e rispetto dell’ambiente.
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