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Dal caso Gabri Veiga un interrogativo: il calcio arabo è solo una bolla?

Il giovane talento spagnolo, attratto dai soldi ma ora senza più stimoli sportivi, caso emblematico. L'Europa rimane il miglior palcoscenico

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La Saudi Pro League è il campionato di calcio che più sta facendo parlare il mondo da un anno a questa parte. Tanto da riuscire a dividere gli appassionati di calcio nella vecchia dicotomia, cara alla scienze sociali, degli apocalittici e degli integrati: i primi pensano che il successo del calcio arabo, proveniente tutto dal petrolio, fatto da spese pazze e talvolta senza una logica, rappresenti l’inizio della fine di un mondo ancora romantico; i secondi vedono il fenomeno dal punto di vista dell’inevitabile cambiamento portato dalla contemporaneità che rompe continuamente gli schemi predefiniti.

Che piaccia o no. Ma la realtà va oltre le teorie o le chiacchiere da bar. A questo proposito, il recente caso del calciatore Gabri Veiga può aprire scenari inattesi.

Innanzitutto bisogna fare le doverose premesse: chi è Gabri Veiga? Spagnolo classe 2002, centrocampista offensivo di grande qualità e prospettiva, ex Celta Vigo e vicino al Napoli nell’ultima finestra estiva di mercato. In un calciomercato estivo di colpi importanti per il calcio arabo, ma già in età avanzata (vedi l’acquisto di Karim Benzema o quello di Cristiano Ronaldo), quello di Gabri Veiga ha avuto un coefficiente di importanza maggiore: per la prima volta, un giovane dal grande futuro lascia l’Europa per andare a giocare all’Al-Ahli. Una scommessa.

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Tante le critiche piovute sul giocatore e sull’operazione in sé, tra cui quella autorevole di uno dei centrocampisti più forti al mondo, ossia il tedesco del Real Madrid Toni Kroos, che ha definito con un secco «imbarazzante» l’approdo dello spagnolo in Arabia Saudita.

A soli tre mesi dall’operazione, però, ecco che arrivano i primi problemi: il giocatore, infatti, avrebbe già lamentato il suo malessere e chiesto di tornare in patria al Celta Vigo, dopo sole 9 presenze e un gol messo a referto con l’Ahli. Umanamente prevedibile. Un ragazzo di 21 anni che pensa di aver trovato l’America, si ritrova a fare i conti con una distanza geografica e culturale da non sottovalutare.

Ecco perché il “mal di pancia” di Gabri Veiga potrebbe essere il primo campanello d’allarme per tutto il movimento arabo: i soldi possono comprare tutto tranne la serenità interiore. D’altronde, l’esempio della Cina fa scuola: fino a qualche anno fa, il paese asiatico sembrava essere sulla cresta dell’onda nell’attirare giocatori dall’Europa ma, in breve tempo, calciatori e addetti ai lavori si sono resi conto che la Cina non sarebbe mai stato il futuro del calcio per via delle troppe differenze con il vecchio storico blocco.

Nell’età d’oro del calcio cinese: Fabio Cannavaro, leggenda della Nazionale italiana, siede sulla panchina del Guangzhou Evergrande in qualità di allenatore. La sua avventura inizia nel 2017 e termina nel 2021.

Se poi le voci di un possibile approdo di Cristiano Ronaldo agli sceicchi del Newcastle a gennaio si rivelassero fondate, ciò confermerebbe un concetto fondamentale: i soldi sono importanti, ma non sono l’unica cosa. Il campione portoghese tornerebbe in Europa sì per soldi, ma anche per cimentarsi nel calcio che conta e che sempre conterà, ovvero quello del Vecchio Continente. Che ha le sue gatte da pelare, ma rimane il palcoscenico migliore per le sfide migliori.

Oltre che dall’inevitabile mancanza di stimoli e di conseguente qualità mostrata dai calciatori che vanno in Arabia, la teoria è confermata anche dai dati imbarazzanti sull’audience televisiva all’estero della Saudi Pro League. Troppo poco appeal per un campionato che rimane una nostalgica vetrina di calciatori profumatamente pagati che professano nel deserto tecnico che li circonda.

Quindi, sì: il calcio arabo è solo una bolla con un futuro tutt’altro che roseo. Agli sceicchi non rimane che continuare a investire in Europa mettendo da parte la velleità di spostare l’Europa in Arabia Saudita. Non funziona, specie se il fine ultimo è quello di promuovere lo sport per cercare di nascondere all’opinione pubblica le nefandezze messe in atto dallo Stato per quanto riguarda il rispetto dei diritti dei cittadini. Il caso di Gabri Veiga risulta, quindi, emblematico e potrebbe essere il primo di una lunga serie.

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Edoardo Sanfilippo
Edoardo Sanfilippo
Laureato magistrale in media, comunicazione digitale e giornalismo. Ricopro il ruolo di media analyst a Data Stampa. Le mie passioni? Lo sport, in particolare le quattro ruote, la politica e la scrittura. Adoro curiosare e sapere di più su tutti gli aspetti della società.
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