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Era il giorno (dopo) dei Mondiali

Grazie alla Coppa del Mondo di calcio chi ha sostenuto l'esame di maturità nell'82 ha capito che “si può fare”, anche dopo gli anni di piombo

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Lo so che ora direte: ma ti ricordi adesso di parlare dei 40 anni del Mundial di Spagna ’82, il giorno dopo? Sì, proprio il giorno dopo. Perché del giorno prima non avrei nulla di più da rievocare, su quell’impresa calcistica della Nazionale, di ciò che ieri ognuno di noi ha letto in mille post sui social e articoli sui giornali, con un pizzico di nostalgia per l’inesorabile trascorre del tempo. Il giorno dopo, però, è successo qualcosa di altrettanto “epico” e indelebile: l’orale della maturità.

Il mio esame di maturità, è vero; però comune a quello di migliaia di altri diciannovenni di quell’anno. Un anno, quello dei Mondiali, che ha segnato la classe del ’63 e le ha consegnato una consapevolezza inedita: si può fare! Si può fare, se ne può uscire: dopo cinque anni di liceo ma anche dopo gli “anni di piombo”, che hanno segnato la storia del nostro Paese e marchiato a fuoco (un “fuoco” non metaforico: quello delle armi) le nostre coscienze di adolescenti.

Il giorno dopo la finale del Bernabeu, il giorno dopo una notte di festeggiamenti, in cui un intero Paese ha scaricato di colpo tutta l’adrenalina che aveva accelerato a dismisura le pulsazioni cardiache dalla storica tripletta di Paolo Rossi al Brasile (e scoprimmo poi che era regolarissimo pure il quarto gol, annullato ingiustamente a Giancarlo Antognoni!) fino al fatale incrocio finale con la Germania (ancora lei, dopo la “partita del secolo” a Messico ’70!).

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Il giorno dopo, il destino (che per me si era concretizzato con il sorteggio fatto su richiesta della commissione d’esame per mano di Stefano, mio amico della sezione B, il giorno della prova scritta di italiano) scrive il mio nome come terzo esaminando della giornata e primo della mia classe, della sezione A del liceo classico statale “Marco Tullio Cicerone” di Frascati. Dall’altra parte del corridoio il mio apparire fa saltare in aria la sempre ansiosa professoressa di greco, membro interno, che scorge subito un particolare per me inedito e inaccettabile per il “protocollo”: la barba lunga.

«Marciano, così mi rovini tutta la classe con la commissione!» è il suo augurio di buona fortuna per il mio orale. Al quale rispondo con tutta la sfrontatezza consona al mio ruolo di “leaderino” (preside dixit) delle assemblee e della rappresentanza studentesca al Consiglio d’Istituto e al Distretto scolastico: «Tranquilla, professore’, che se me dicono quarcosa, je risponno c’ho studiato giorno e notte pe’ preparamme e nun c’ho avuto tempo».

E in effetti di tempo non ne avevo avuto da qualche giorno. Ma non solo per fare la barba (che poi manterrò per parecchio tempo a ricordo delle circostanze): neanche per aprire un libro. Affronto e supero l’esame con l’incoscienza dell’età, la “rendita di posizione” degli studi fatti per cinque anni e anche (in fondo in fondo) la spavalderia del “campione del mondo”.

Ma il “mio” mondiale e quello delle migliaia di miei coetanei di quell’anno, mi appare davvero solo quando esco, per l’ultima volta da studente, dal liceo. Solo in quel momento, girato l’angolo e sparito dalla mia vista il cancello della scuola, ho una consapevolezza: è finita davvero e ce l’ho fatta. Era l’anno dei Mondiali: non quelli del ’66 in cui la regina d’Inghilterra era Pelè, come canterà pochi anni dopo Antonello Venditti, bensì quelli dell’82 in cui il re di Spagna era Paolo Rossi.

Anche se il giorno dopo la finale del Bernabeu, il giorno dell’orale della maturità, complici la fede calcistica inguaribilmente nerazzurra e le battaglie sociali alle quali gli anni del liceo mi avevano formato, oltre al Pablito nazionale, di re il mio immaginario (profondamente repubblicano e pluralista) ne aveva incoronati anche altri: Gabriele Oriali e Giampiero Marini, da cui ho imparato la lezione che anche una «vita da mediano» contribuisce alla fine a far raggiungere alla squadra il Mondiale, e quel ragazzino, quel tale Giuseppe Bergomi che mi aveva colpito perché aveva la mia stessa età.

Ecco, allora è vero che se un giovane si impegna e c’è un Enzo Bearzot che vede il suo talento e gli dà modo di esprimerlo, c’è un futuro per questo Paese, c’è senso nell’impegno, nello studio, nella competenza. Era il giorno dopo dei Mondiali e una generazione di giovani si era improvvisamente resa conto che si può fare: si possono vincere i Mondiali, si può superare l’esame di maturità.

E si può uscire dagli anni di piombo, dalla strategia della tensione, dalla notte della Repubblica: quel Mondiale ha simboleggiato la fine di quel periodo storico di lutti e misteri, non ancora tutti svelati. Il giorno dopo il Mondiale questo Paese ha, dopo tanti anni, ripreso a credere. Sta a quelli che l’hanno vissuto, quel luminoso luglio dell’82 dopo il buio delle stragi dell’adolescenza, continuare a raccontare quello in cui hanno imparato a credere. Questo Paese, oggi, ne ha di nuovo bisogno.

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Massimo Marciano
Massimo Marcianohttp://www.massimomarciano.it
Fondatore e direttore di Metropoli.online. Giornalista professionista, youtuber, opinionista in talk show televisivi, presidente e docente dell'Università Popolare dei Castelli Romani (Ente accreditato per la formazione professionale continua dei giornalisti), eletto più volte negli anni per rappresentare i colleghi in sindacato, Ordine e Istituto di previdenza dei giornalisti. Romano di nascita (nel 1963), ciociaro di origine, residente da sempre nei Castelli Romani, appassionato viaggiatore per città, borghi, colline, laghi, monti e mari d'Italia, attento osservatore del mondo (e, quando tempo e soldi lo permettono, anche turista). La passione per la scrittura è nata con i temi in classe al liceo e non riesce a distrarmi da questo mondo neanche una donna, tranne mia figlia.
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