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Il mito dell’“uomo forte” e le sue estreme conseguenze

Putin che attacca la pacifica e indipendente Ucraina incarna un archetipo. Fino a ieri modello anche della personalizzazione della politica

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“I dittatori visti dalla prospettiva psicologica” è stato il titolo di un interessante convegno svoltosi a Trieste ormai quasi dieci anni fa, che rappresenta una tappa importante per quella parte della ricerca sulla psiche umana che da tempo indaga sulle profondità della mente dei despoti. E che ci fornisce altrettanto importanti spunti di riflessione su come un capo di Stato come Vladimir Putin possa ostinatamente, sordo ai richiami e alle minacce di ritorsioni dell’intera comunità internazionale, decidere di rompere la pace quasi secolare tra le nazioni del continente europeo. Ma ci aiuta anche in alcune considerazioni squisitamente politiche.

A Trieste la dottoressa Sabina Bartolich, psicologa clinica e infantile, presentò tre “case history” emblematici, che rispondevano al nome di Hitler, Stalin e Mussolini. Pur nelle diversità di caratteri, ideologie, storie personali, modalità di espressione della propria autorità, i tre più noti dittatori del Novecento, secondo Bartolich, presentano un tratto comune, le sofferenze dell’infanzia, che li porta a incarnare da adulti un ruolo. Si tratta di un archetipo, concetto caro ai teorici junghiani: quello delle divisioni di potere nelle società primitive.

Le prime società patriarcali umane assegnavano il potere ai maschi dominanti, coloro che nel linguaggio dell’etologia vengono definiti maschi alpha: il capo villaggio e lo stregone o sciamano. Il primo rappresenta un concetto primitivo di potere: la forza fisica, la potenza legata all’atto fisico. Il secondo, il potere magico o soprannaturale.

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Le linee di sviluppo successive che attraversano i millenni, prosegue l’analisi, seguono il medesimo concetto di proiezione delle esigenze delle sempre più vaste comunità umane, sia verso un singolo individuo vissuto come il “liberatore” o “salvatore”, sia nei confronti di un concetto astratto, quanto autoritario, di Nazione.

Più recente, di tre anni fa, è lo studio della dottoressa Federica Cincio, psicologa ed esperta di neuropsicologia. Prende ad esempio Kim Jong-un, il leader supremo della Corea del Nord. Descritto dalle testimonianze degli amici d’infanzia, fra i quali il suo compagno di stanza del college svizzero dove ha studiato, lontano dalle influenze casalinghe, il giovanissimo Kim è un adolescente come tutti gli altri: gioca, scherza, studia e si diverte con gli amici, ai quali mostra anche una particolare empatia verso la povera gente che non può permettersi gli svaghi e la cultura che la sua condizione sociale consentono invece a lui.

Cosa lo porta allora a diventare uno spietato despota? Secondo la psicologa è una “droga”: il potere.

«Anche una quantità minima di potere può cambiarci – scrive la dottoressa – sotto il profilo emozionale e cognitivo. Questo perché il potere accresce il testosterone sia negli uomini che nelle donne. Il testosterone a sua volta accresce l’attività della dopamina, l’elemento chimico che agisce nell’area del cervello preposta alla sensazione di “sentirsi bene”, la cosiddetta rete di ricompensa. Il potere ha effetto sul nostro umore attraverso gli stessi meccanismi cerebrali legati alla vincita di un premio, fare sesso o sniffare cocaina. Oltre a questo, la dopamina ci può rendere più coraggiosi, meno ansiosi e perfino più astuti».

Come nella saga di “Guerre stellari”, però, viene fuori un “lato oscuro” di questa forza. «Come molti neurotrasmettitori cerebrali – prosegue Cincio -, la dopamina opera secondo una struttura a “U invertita”, il che significa che troppa o troppo poca ostacola il normale operare del cervello. La dopamina, come la cocaina, può sbilanciare il sistema di ricompensa, e un potere senza freni può portare a gravi problemi nel giudizio, nell’emotività, nell’auto-consapevolezza dei propri limiti e ad una perdita di inibizioni. Elimina anche l’empatia e porta a trattare gli altri come oggetti, più che come persone. Per farla breve, anche se anni fa Kim Jong-un non è partito come uno psicopatico, il potere assoluto di cui dispone oggi può renderlo tale».

E qui dalla psicologia passiamo allo studio della storia.

Dopo le esperienze devastanti delle dittature di metà Novecento, i Paesi che le avevano vissute, Italia e Germania, si sono dotati di una struttura costituzionale che parte da basi comuni:

sovranità del Parlamento, diviso in due Camere per avere maggiore ponderazione su questioni importanti;

sistema elettorale rigorosamente proporzionale per non lasciare inespresse sensibilità, piccole o grandi che siano, in grado di così di “sfogare” le proprie pulsioni nelle arene parlamentari e non all’esterno;

partiti politici organizzati come “corpi intermedi” tra i cittadini e le istituzioni, con il compito anche di formare e selezionare la classe dirigente;

un capo dello Stato super partes, garantito nel suo ruolo di arbitro da una serie di strumenti che lo sottraggano agli altri poteri, tra cui quello degli stessi partiti, sia durante il mandato sia dopo, ma che contemporaneamente non amplifichino i suoi stessi poteri (in Italia questo si verifica con la sua nomina a senatore a vita dopo la cessazione dalla carica e si aveva, prima che decadesse questa consuetudine purtroppo non codificata costituzionalmente, con la non rieleggibilità).

La progressiva destrutturazione, nel nostro Paese, di questo impianto costituzionale originario si è fatta strada grazie soprattutto alla parallela progressiva personalizzazione della politica. E non è un caso che in Italia chi più di altri abbia spinto, e continui a farlo parlando di una nuova Repubblica di stampo presidenziale, per imporre la nuova visione politica incentrata sulla persona e non sull’individuo, siano gli stessi che negli anni scorsi non hanno mai mancato di additare Putin come il modello di “uomo forte” che avevano in mente. E abbiano difeso in ogni sede, anche nelle istituzioni dell’Unione europea, i “piccoli Putin” che nel frattempo si erano affacciati sulla scena internazionale, soprattutto in alcuni Paesi dell’Est.

Di tali esegeti del modello di “uomo forte” si sono perse le tracce da ieri, quando l’abnormità dell’atto di guerra contro un Paese pacifico e sovrano come l’Ucraina ha proiettato di diritto Putin tra i “casi” che la scienza clinica purtroppo dovrà studiare a fondo. Ma se oltre alla psicologia ci soccorre presto anche lo studio della storia, la risposta della comunità internazionale, intesa sia nella sua rappresentanza istituzionale sia nei popoli che la compongono, potrà dare la risposta adeguata all’atrocità della guerra e poi correggere la deriva personalistica in atto nella politica.

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Massimo Marciano
Massimo Marcianohttp://www.massimomarciano.it
Fondatore e direttore di Metropoli.online. Giornalista professionista, youtuber, opinionista in talk show televisivi, presidente e docente dell'Università Popolare dei Castelli Romani (Ente accreditato per la formazione professionale continua dei giornalisti), eletto più volte negli anni per rappresentare i colleghi in sindacato, Ordine e Istituto di previdenza dei giornalisti. Romano di nascita (nel 1963), ciociaro di origine, residente da sempre nei Castelli Romani, appassionato viaggiatore per città, borghi, colline, laghi, monti e mari d'Italia, attento osservatore del mondo (e, quando tempo e soldi lo permettono, anche turista). La passione per la scrittura è nata con i temi in classe al liceo e non riesce a distrarmi da questo mondo neanche una donna, tranne mia figlia.
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