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Il deludente esito della “guerra fredda”: un’Europa vaso di coccio

Caduto il muro di Berlino, molti gli sbagli di tutti i protagonisti. Però Gorbaciov aveva un sogno per non finire nella morsa Usa-Russia-Cina

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Semplificando al massimo… alla fine della Seconda guerra mondiale il mondo risultava diviso in due blocchi: da un lato gli Usa, dall’altro l’Urss; in mezzo, molto spostata verso gli Usa tanto da esserne quasi un’appendice, l’Europa che verso gli Usa aveva, tutta, grandi debiti di riconoscenza, sia per essere stata liberata dal nazifascismo sia per i grossi aiuti necessari alla ricostruzione.

La nascita della Nato, nel 1949, e del Patto di Varsavia, del 1955, rafforzarono la divisione politico/militare dei due blocchi lungo il loro confine comune chiamato per decenni «la cortina di ferro». Tale situazione andò avanti fino: alla caduta del muro di Berlino il 9 novembre 1989, alla conseguente successiva dissoluzione dell’Unione Sovietica e allo scioglimento del Patto di Varsavia nel 1991, insomma fino alla fine della Guerra fredda tra Usa e Urss.

Da quel momento in poi, forse per miopia, molti sbagli furono commessi un po’ da tutti i protagonisti della scena mondiale anche se ora sarebbe troppo facile pretendere di fare i giudici con il senno di poi a oltre trent’anni di distanza!

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In Russia, Gorbaciov aveva lanciato la Perestroika e il sogno di costruire una unica Europa dall’Atlantico agli Urali. Gli Usa snobbarono Gorbaciov e non gli diedero alcun sostegno. L’Europa, forse timorosa di emanciparsi dagli Usa, perderne ogni forma di aiuti e doversi imbarcare in un progetto magari troppo costoso e più grande di lei, non seppe vedere e quindi neanche cogliere l’opportunità di provare a creare la grande Europa auspicata da Gorbaciov. Infine, forse nessuno dei tre protagonisti pensò adeguatamente all’accelerazione dello sviluppo sociale, industriale ed economico della Cina che pure aveva cominciato a manifestarsi prepotentemente poco dopo l’inizio degli anni ’80.

Se le cose fossero andate diversamente, oggi l’assetto mondiale avrebbe forse potuto essere una ripartizione in tre grossi blocchi più o meno equilibrati e complementari rappresentati dagli Usa, dalla Cina e da una grande Europa, tutti insieme in una realtà globalizzata e di pacifica convivenza, impegnati magari nella salvaguardia ambientale e nel sostenere la crescita sostenibile di quelle aree del pianeta ancora in via di sviluppo. La situazione che abbiamo davanti oggi è invece tutt’altra cosa: con gli Usa intenti a conservare la propria supremazia mondiale; la Cina ben decisa a sostituirsi a loro nel ruolo di prima potenza assoluta; la Russia vogliosa di riguadagnare un ruolo di primo piano e l’Europa, vaso di coccio in mezzo a quelli d’acciaio, ancora una volta nel ruolo di gregario degli Usa con il rischio sempre più grande di esser chiamata a far loro da sponda nelle loro controversie con Russia e Cina.

Inutile recriminare ora su chi e perché abbia sbagliato di più e ne porti quindi la responsabilità più grossa: la situazione è ormai questa e la cosa più urgente è trovare una rapida via d’uscita ma le strade sembrano essere solo due: quella diplomatica e quella militare.

Nei giorni scorsi il Papa, ma non solo lui, ha parlato della necessità di «un’altra impostazione, un modo diverso di governare il mondo ormai globalizzato; un modo diverso di impostare le relazioni internazionali». Senonché, a quasi tre settimane di distanza, l’alternativa che sembra stia prendendo sempre più piede è quella di una grande escalation militare, con il risultato di allontanare sempre più ogni eventuale soluzione diplomatica. L’importante a questo punto è esserne tutti consapevoli e in particolare noi europei essere ben consapevoli che quale che sia il nuovo assetto mondiale derivante da una malaugurata soluzione scaturita dalla supremazia bellica il nostro ruolo e la nostra posizione saranno necessariamente sottomessi al più forte di turno: Usa, Russia o Cina che sia.

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Achille Nobiloni
Achille Nobiloni
Nato a Frascati (Roma) nel 1952. Giornalista pubblicista. Dieci anni corrispondente del Messaggero dalla provincia; quindici anni redattore dell'agenzia Staffetta Quotidiana Petrolifera, venti anni dirigente d'azienda in Agip Petroli e in Eni nella direzione Relazioni Esterne e Rapporti Istituzionali. Attualmente in pensione, appassionato di storia locale e arte.
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