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Gorbaciov e la sua visione di democrazia globale tradita da opposti estremismi

Voleva globalizzazione dei popoli, non della finanza, e l'Europa forte. Per questo oppositori interni e capitalismo ne hanno scritto la fine

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Se ci limitassimo a ricordare Mikhail Gorbaciov per il suo, pur fondamentale, ruolo nella costruzione di un sistema che mettesse fine alla logica dei blocchi contrapposti nata dalla Seconda guerra mondiale attraverso l’apertura alla democrazia di un sistema come quello sovietico non in grado di autoriformarsi, faremmo un torto alla sua opera e al suo pensiero, che hanno avuto una portata molto più vasta. Ma dimenticata in tantissimi dei commenti alla sua scomparsa, molti dei quali formali e disinformati, altri politicamente orientati pro domo sua, qualcuno decisamente inqualificabile.

La visione di cui l’ex Capo di Stato sovietico è stato l’artefice era quella di un mondo globalizzato dai popoli, non dalla finanza. Per questo agli oppositori interni, che con l’apertura al mondo e alla democrazia dell’Unione Sovietica vedevano venir meno il loro consolidato sistema di potere, si è unito, in un connubio di interessi inedito e imprevedibile, il capitalismo occidentale, che voleva al posto di Gorbaciov qualcuno più aperto all’idea di gestire grossi affari nei nuovi mercati che potevano aprirsi nei Paesi dell’Est, visti come terreno vergine di conquista della finanza.

Anche per questo la caduta materiale del Muro di Berlino, mobilitando masse di persone in speranzosa attesa con la diffusione di anticipazioni non veritiere, è stata volutamente accelerata, nonostante non vi fosse stato ancora da nessuna delle parti in causa un atto che la disponesse formalmente. E al percorso di riunificazione della Germania, che avrebbe implicato la scrittura di una nuova Costituzione da parte di rappresentanti che avrebbero dovuto essere eletti dalle due comunità statali, si è sostituita la più rapida procedura giuridica dell’annessione della Germania dell’Est all’interno di quella dell’Ovest. Procedura che, tra l’altro, permetteva di mantenere inalterati gli impegni della Repubblica federale tedesca sulla strada dell’unione monetaria europea e per l’adesione alla Nato.

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Parlare solo, come si sta facendo troppo spesso in queste ore, del Gorbaciov della perestrojka e della glasnost, che hanno opportunamente riformato un sistema altrimenti irriformabile, è un modo per dare alla visione americanocentrica dominante nella nostra cultura una giustificazione storica e autoassolutoria delle responsabilità dell’Occidente in quello che è accaduto dopo. È antistorico e irriverente nei confronti dello stesso Gorbaciov che si vorrebbe celebrare, infatti, non iniziare con il riconoscere che perestrojka e glasnost sono i percorsi con i quali la visione di Gorbaciov di un’Europa di tutti i suoi popoli, che si affrancasse da una parte dalla sudditanza militare e politica rispetto agli Stati Uniti allo stesso modo in cui dall’altra parte si avviava a farlo dall’Unione Sovietica, è stato il punto di incontro con le identiche tesi della politica dell’eurocomunismo dei leader dei maggiori partiti comunisti dell’Occidente: l’italiano Enrico Berlinguer, il francese Georges Marchais e il portoghese Alvaro Cunhal.

A uccidere ogni prospettiva della visione europea e mondiale di Gorbaciov è stata la convergenza tra gli interessi del capitalismo occidentale e dell’opposizione interna dei veterocomunisti intransigenti, legati al sistema di potere che ne legittimava ruolo e prerogative. La visione di Gorbaciov era quella di un mondo globalizzato dai popoli sovrani, non dalla finanza, come poi invece è successo. L’ex leader sovietico ha sostenuto a gran voce la necessità che alla logica dei blocchi contrapposti si sostituisse una democrazia mondiale vera, che avesse nell’Europa unita dall’Atlantico agli Urali una voce forte e autorevole, in grado di dare la giusta rilevanza alla storia della civiltà dei diritti e delle tutele sociali di cui il Vecchio Continente è stato culla.

Per la sua Unione Sovietica, nell’ottica di questa evoluzione dell’Europa e del mondo, Gorbaciov vedeva una confederazione di Stati indipendenti che delegassero al potere centrale solo alcuni compiti. Però ognuna delle 15 repubbliche sovietiche (compresa quindi l’Ucraina, per agganciarci a un’attualità drammaticamente opposta rispetto alla visione di Gorbaciov) avrebbe dovuto ottenere un’autonomia tale che permettesse ad ognuna di avere una propria rappresentanza alle Nazioni Unite, riservando alla Confederazione solo il seggio permanente nel Consiglio di sicurezza.

Questa visione interna si inseriva, su scala mondiale, in quella di un autogoverno di tutti i popoli nazionali, con una delega agli organismi sovranazionali per la gestione delle politiche di coordinamento. Ciò implicava una reale democrazia e una forte autodeterminazione dei popoli.

Contro questa visione, con il tentato golpe ai danni di Gorbaciov dell’estate del 1991, si è esplicitata la convergenza di interessi di opposti estremismi. Da una parte il vecchio establishment del potere sovietico e dall’altra gli interessi finanziari del capitalismo occidentale, che pensava di poter gestire affari nei nuovi mercati, che potevano allora aprirsi all’Est, avendo al posto di Gorbaciov una figura più malleabile e disponibile.

È per questo che in quel fatidico Natale del 1991 questi opposti estremismi hanno portato alle dimissioni di Gorbaciov da Capo dello Stato e all’ascesa al potere di Boris Eltsin, una figura debole e con molti limiti personali e politici, che pareva a tutti un baluardo meno insormontabile per i loro fini. Fini che cominciavano dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica: ma non quella che di fatto aveva già visto crollare i suoi vecchi pilastri grazie a perestrojka e glasnost; quella che Eltis, con l’appoggio interessato del vecchio establishment e la colpevole complicità dell’Occidente capitalista, ha dissolto per sempre è stata la costruzione che Gorbaciov stava compiendo di una nuova Unione Sovietica, confederata e democratica, e con essa quella di un’autorevole Europa unita e di un governo mondiale dei popoli.

È con un errore di prospettiva storica e una (non sempre involontaria) deformazione del pensiero in senso americanocentrico e autoassolutorio che in questi giorni, nel mondo occidentale, si celebra il Gorbaciov demolitore ma non si ricorda come e da chi sia stato osteggiato, fino all’eliminazione politica, il Gorbaciov costruttore.

La macchinazione ai danni di Gorbaciov ha infatti prodotto non solo l’indebolimento della struttura unitaria della confederazione degli ex Stati sovietici ma anche l’implosione del sistema di governo, nonché la fine del progetto di democrazia mondiale disegnato dal leader della perestrojka e della glasnost: il debole Eltsin è stato facilmente e rapidamente destituito, preda di chi ha saputo rappresentare al meglio, all’inizio, quella convergenza degli opposti estremismi, ovvero Vladimir Putin.

Ciò che ha prodotto questa convergenza è oggi sotto gli occhi di tutti: dalla concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi oligarchi alla gestione militare del vecchio sogno della “Grande Russia”, fino all’intreccio di affari con i leader autoritari dell’estremo Oriente, che ha prodotto crisi umanitarie, guerre e distruzioni per preservare il potere delle élite.

Ricordare la figura dell’ex leader sovietico in maniera corretta e rispettosa dei suoi valori vuol dire celebrare il suo pensiero riconoscendone la validità. Ma per fare questo dobbiamo riconoscere prima l’azione convergente delle forze estremiste che, pur partendo da opposti interessi, hanno voluto la caduta di Gorbaciov, nella quale come mondo occidentale abbiamo delle pesanti responsabilità storiche.

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Massimo Marciano
Massimo Marcianohttp://www.massimomarciano.it
Fondatore e direttore di Metropoli.online. Giornalista professionista, youtuber, opinionista in talk show televisivi, presidente e docente dell'Università Popolare dei Castelli Romani (Ente accreditato per la formazione professionale continua dei giornalisti), eletto più volte negli anni per rappresentare i colleghi in sindacato, Ordine e Istituto di previdenza dei giornalisti. Romano di nascita (nel 1963), ciociaro di origine, residente da sempre nei Castelli Romani, appassionato viaggiatore per città, borghi, colline, laghi, monti e mari d'Italia, attento osservatore del mondo (e, quando tempo e soldi lo permettono, anche turista). La passione per la scrittura è nata con i temi in classe al liceo e non riesce a distrarmi da questo mondo neanche una donna, tranne mia figlia.
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