Anche nei ristoranti italiani di Dubai è possibile gustare il delicato sapore dei cannolicchi pescati nel tratto di mare davanti a Fiumicino. Non tutti sanno che il classico prodotto del Tirreno viene importato negli Emirati Arabi, dove è molto apprezzato, e non solo nei locali di alcuni chef che hanno lasciato la Penisola per stabilirsi nello stato arabo. Lo sottolinea con un pizzico di soddisfazione l’armatore Roberto Di Biase, presidente della cooperativa Glauco pesca, che è tra i pochi nel porto-canale della cittadina marinara a lavorare il prodotto, la cui cattura sta diventando sempre più una rarità.
«Sulle coste italiane – dice Di Biase – ci sono solo tre tratti di mare dove è possibile pescare il bivalvo: oltre al litorale napoletano e a quello pugliese di Manfredonia, c’è la costa di Fiumicino. Attraverso un accordo commerciale con una coop veneziana, i cannolicchi vengono esportati negli Emirati Arabi, dove sono molto apprezzati. Per noi di Fiumicino questa operazione è motivo di orgoglio perché un nostro prodotto viene conosciuto nei Paesi arabi abbinato con gli spaghetti oppure scottato sulla griglia con un filo di olio o con una spruzzata di limone».
Il cannocchio proveniente dal litorale del comune di Fiumicino ha di recente ottenuto l’iscrizione al registro Deco, il marchio di denominazione comunale di origine. La flotta delle 10 turbosoffianti che ormeggiano nel porto-canale della Fossa Traianea, dopo una giornata di pesca, porta a terra, in base anche al periodo della stagione che impone alcuni mesi di fermo, una media di 15 quintali di vongole lupino al giorno, 5 di telline e circa 50 chili di cannolicchi.
La cattura dei cannolicchi sta diventando un problema per le poche unità adibite a tale pesca, visto che il bivalvo può essere catturato su un fondale sabbioso di pochi metri e ad una distanza dalla battigia inferiore ai 100-150 metri. Questo cozza con le attuali norme che impongono l’utilizzo dei rastrelli a 600 metri dalla costa.
«Purtroppo, la legge è superata – aggiunge Di Biase – perché negli anni il mar Tirreno, per effetto del fenomeno erosivo, è avanzato e ha divorato centinaia di metri di arenile. Questo ha portato la profondità marina a circa 10-12 metri nelle zone dove siamo autorizzati a svolgere la nostra attività, in cui non vivono più i molluschi, che si sono spostati verso terra. Per sopravvivere siamo costretti a scendere sotto costa e in questo caso fioccano le multe e i punti sulla licenza di pesca».
Forte la disperazione degli armatori, che corrono il rischio di restare senza lavoro, per cui chiedono una rivisitazione dello studio, voluto nel 2008 dal Ministero, redatto da un ente di ricerca che ha però preso come campione i bassi fondali del mar Adriatico, dove l’erosione non è così evidente come quella del Tirreno.
«Facciamo appello – conclude Di Biase – all’assessore locale alla pesca, Stefano Costa, e a quello regionale, Giancarlo Righini, oltre che al Ministro, finalizzato a una “deroga” simile a quella del 2011, che ci permise di scendere sotto costa per le telline, considerato che i cannocchi hanno lo stesso habitat marino. Questa anomalia va risolta e soprattutto devono essere effettuati maggiori controlli su tutta la filiera».
Con molta probabilità l’armatore si rivolge ai tanti pescatori amatoriali che operano sulla riva con rastrelli a mano per prelevare quelle telline messe poi in vendita senza un minimo di tracciabilità. Specialmente in questo periodo il fenomeno è evidente sul tratto di spiaggia riservata ai naturisti, in zona Coccia di Morto, dove è notevole la presenza di persone dedite alla cattura del mollusco in quantitativi superiori a quelli consentiti dalla legge, che non devono superare i 5 chilogrammi, tetto massimo per il consumo personale».