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Il problema è «Draghi sì o no» oppure l’inconsistenza della classe politica?

Prima di decidere "chi" dovrà guidare il Paese, Draghi, Meloni o chi altri, è più importante decidere “cosa” c'è da fare e soprattutto “come”

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Considerato che fra otto mesi si voterà comunque, il problema del “dopo Draghi” non sembra una contingenza tanto grave come tempistica quanto come sostanza. Sì, ci sono pandemia, guerra, approvvigionamento energetico, Pnrr e altre questioni importanti da affrontare ma la loro urgenza non si risolverà certo da qui alla scadenza naturale della legislatura ed è quindi la loro gestione nei prossimi anni a porre il problema più grosso per l’Italia.

Nonostante ciò, a farla da padrone sulle prime pagine dei quotidiani sembrano essere: lo sfascio del M5s; il balbettio inconcludente del Pd; l’attendismo di Lega e Forza Italia; gli appelli dei sindaci (e conseguente ira della Meloni); le pressioni Ue e Usa, il tutto nell’ottica di un auspicato ritiro delle dimissioni di Draghi e della sua permanenza a Palazzo Chigi.

Su questo punto il nodo sarà sciolto nelle prossime 24/48 ore ma i problemi essenziali resteranno in piedi tutti, in tutta la loro gravità: un quadro politico disastroso fatto di formazioni frammentate e miopi, concentrate più sull’uovo oggi che sulla gallina domani, intente a guardare più agli interessi di partito o personali che a quelli del Paese e dei cittadini; la mancanza di una visione chiara di dove stanno andando il mondo e la società nel terzo millennio; la scarsa affidabilità dell’Italia a livello internazionale; l’assenza di un suo ruolo definito e riconosciuto all’interno della Ue in grado di contribuire in modo incisivo alla sua politica e alle sue scelte e via proseguendo con tutta una serie di altre amare constatazioni diventate ormai luoghi comuni alla base del populismo e dell’astensionismo elettorale così diffusi nel nostro Paese.

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Prima ancora di decidere “chi” dovrà guidare il Paese, se Draghi ritirando le dimissioni o la Meloni vincendo le elezioni, è assai più importante decidere “cosa” c’è da fare e soprattutto “come”. È su questo che le forze politiche dovrebbero confrontarsi anziché sulla conta dei numeri, le questioni di principio o quelle d’onore e il linguaggio dovrebbe essere quello dei programmi e delle proposte concrete anziché quello dei ricatti e degli scaricabarile.

Qui, mostrando peraltro malafede o scarsa conoscenza dell’organizzazione dello Stato, si continua a parlare di governi e presidenti del Consiglio eletti o non eletti invocando il voto come massima espressione di democrazia. Ma su cosa mai, di grazia, si dovrebbe votare? In base a quali criteri dovremmo eleggere i nuovi deputati e senatori della Repubblica? La simpatia? Il modo in cui parlano? Se si presentano bene o paiono arroganti e radical-chic? O forse perché appartengono a un partito che ha “questo programma” per fare “queste cose”?

Siccome i partiti di programmi veri non ne hanno più e le cose che dicono di voler fare dipendono in larga parte dagli accordi per formare una maggioranza “di governo” quale che sia, gli elettori a votare non ci vanno più e molti di quelli che ci vanno votano più per tifo che per convinzione. Il risultato è che la classe politica che vien fuori dalle elezioni è sempre più scadente, l’elettorato sempre più deluso e il Paese sempre peggio governato fino a quando, sull’orlo di grandi crisi economiche, sociali, di credibilità o altro, il presidente della Repubblica è costretto a individuare un tecnico salvatore della Patria al quale generalmente tocca di cavar dal fuoco le patate bollenti ai partiti i quali, sornioni, lasciano che gran parte del popolo inveisca contro il tecnico di turno apostrofandolo a gran voce “presidente non eletto”, cinico, crudele e affamatore!

Insomma, tornando al punto di partenza, visto che tra otto mesi si voterà comunque, nella speranza che Draghi ritiri le dimissioni e possa essere lui a traghettarci alla scadenza naturale della legislatura… le vogliamo cominciare a preparare per bene queste elezioni?
Vogliamo provare prima a vedere se e quali denominatori comuni esistono tra le varie forze politiche in merito ai grossi problemi come guerra, politica internazionale, fonti energetiche, fisco e rilancio economico, ambiente, lavoro, scuola, ricerca e poi andare a chiedere i voti insieme… o vogliamo continuare a prenderci a schiaffi gli uni con gli altri, vedere quanti voti si riesce a raggranellare in questo modo rissoso e populista per poi mettersi a fare somme, sottrazioni e percentuali ripetendo il teatrino iniziato nel 2018 durante il quale si è passati dal giallo-verde al giallo-rosso per ritrovarsi alla fine con i partiti tutti fermi allo stop?

Nell’immediato Draghi sì o Draghi no è solo una toppa: il vero problema è la classe politica italiana.

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Achille Nobiloni
Achille Nobiloni
Nato a Frascati (Roma) nel 1952. Giornalista pubblicista. Dieci anni corrispondente del Messaggero dalla provincia; quindici anni redattore dell'agenzia Staffetta Quotidiana Petrolifera, venti anni dirigente d'azienda in Agip Petroli e in Eni nella direzione Relazioni Esterne e Rapporti Istituzionali. Attualmente in pensione, appassionato di storia locale e arte.
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