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Allevamenti intensivi: le alternative contro inquinamento e maltrattamenti

Siamo consapevoli delle condizioni degli animali, ma con la popolazione aumentano consumo di carne e inquinamento. Alternative dalla scienza

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Quanto inquina la produzione di carne tramite l’utilizzo di allevamenti intensivi? Negli ultimi duecento anni, la produzione e il consumo di carne animale sono aumentati di quattro volte e con essi anche le conseguenze negative dal punto di vista ambientale. Si stima che, ad oggi, si producano a livello mondiale circa 339 milioni di tonnellate di carne, provenienti esclusivamente da allevamenti intensivi.

Cosa si intende per allevamento intensivo? Il fine ultimo di questa pratica è quello di ottenere il massimo rendimento possibile al minor costo. Tuttavia, questo si traduce nella nascita di vere e proprie fabbriche di animali in cui ciascuna fase dell’allevamento è automatizzata e standardizzata. Gli animali vivono in condizioni pietose, spesso in gabbia, fatti ingrassare con proteine e antibiotici appositi, senza mai vedere la luce del sole. In questo modo si riducono i costi e si ottimizza la produzione. Ormai infatti la carne non è più considerata come un bene di lusso, bensì come un bene comune.

Quanto si inquina? Secondo i dati raccolti dalla Fao (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura), circa il 15% dei gas serra a livello mondiale prodotti dall’umanità sono emessi dagli allevamenti intensivi e da tutte le fasi della catena produttiva.

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Infatti, per calcolare il reale impatto ambientale degli allevamenti intensivi non basta tenere conto solo delle emissioni prodotte dalle strutture stesse. A queste, infatti, si aggiungono le emissioni dovute alla produzione di mangimi (che provocano a loro volta deforestazioni e un elevato consumo di acqua), al trasporto e alla gestione delle deiezioni degli animali. Si stima che all’anno tale settore produca complessivamente l’equivalente di 704 milioni di tonnellate di CO2. Più di quanto inquini il settore del trasporto.

Tenendo conto di uno studio condotto da Greenpeace nel 2019, circa il 63% della terra arabile europea viene utilizzata per produrre mangime animale. Questa superficie potrebbe essere utilizzata per la coltivazione di alimenti per gli esseri umani, a partire dalla produzione del grano, riso o patate, che richiedono da due a sei volte in meno delle risorse necessarie per la produzione di carne.

Sebbene ad oggi si sia più consapevoli delle condizioni di vita degli animali negli allevamenti intensivi, si stima che nel 2050 la popolazione mondiale aumenterà e, con essa, anche la domanda globale di carne. Tuttavia, la situazione ambientale è drastica, per cui risulta impensabile dare una spinta aggiuntiva alla produzione di carne.

Per questo motivo, negli ultimi anni, sono molte le aziende e gli scienziati che hanno impiegato risorse e tempo per trovare soluzioni a questo problema. L’alternativa migliore, ad oggi, prevede una graduale riduzione nel consumo di carne e una transizione verso l’alimentazione vegetale o in provetta, che garantirebbe una forte riduzione delle emissioni di gas serra.

Si è sentito parlare parecchio negli ultimi anni di carne vegetale (o fake meat) e carne sintetica. Per molti, queste varianti possono sembrare identiche tra di loro; in realtà vengono prodotte in modo completamente differente. Sono infatti le verdure, i legumi e i cereali gli ingredienti base della carne vegetale mentre, per quanto riguarda la carne sintetica, essa viene realizzata in laboratorio. Vengono utilizzate cellule animali, le quali sono coltivate in provetta e, riproducendosi, con il tempo producono elevate quantità di carne.

Il business della fake meat, la quale simula sia per aspetto, sia per consistenza e sapore, la carne “reale”, è in crescita. Si stima infatti che entro il 2040 il suo valore raggiunga circa 450 miliardi di dollari. Al contrario, il mercato della carne sintetica va a rilento, a causa degli elevati costi di produzione che ne rallentano la diffusione. Tuttavia, i risultati sono positivi. Si prevede, infatti, che in soli due mesi sia possibile produrre fino a 50mila tonnellate di carne, prelevando almeno dieci cellule muscolari animali.

Dal punto di vista ambientale, queste alternative rappresentano il futuro e la direzione che il mercato della carne prenderà nei prossimi anni. Infatti, nel breve termine, l’impatto ambientale della carne coltivata in laboratorio e di quella vegetale produrrebbe solo il 4% di gas serra e ridurrebbe i consumi energetici di circa il 45%.

Molte aziende stanno lavorando per rendere possibile la diffusione in larga scala di queste alternative. Lo stesso Bill Gates è a sostegno dell’iniziativa e il noto manager dell’elettronica lo ha dimostrato investendo circa 75 milioni di dollari nell’azienda americana Impossible Foods.

Fonte: Per gentile concessione di energia-luce.it (https://energia-luce.it/news/impatto-ambientale-allevamenti-intensivi/)

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