In queste ore sono divenute virali le immagini di Wael Al Dahdouh, noto giornalista di Al Jazeera, il quale piange la morte di suo figlio, Hamza Al Dahdouh, anche lui giornalista, rimasto ucciso in un bombardamento israeliano assieme ad un collega il 7 gennaio. Una settimana prima, il 29 dicembre, un altro reporter aveva perso la vita a Gaza in circostanze analoghe, e altri due il giorno precedente.
In totale, secondo quanto riportato dal Comitato per la protezione dei giornalisti (Cpj), sarebbero 79 i giornalisti che avrebbero perso la vita nella Striscia di Gaza dal 7 ottobre, giorno di inizio dell’attuale conflitto tra Israele e Hamas. A questo numero, che include solo le morti confermate e verificate, si aggiungono 16 giornalisti rimasti feriti, 3 scomparsi e 21 arrestati. A tutto ciò, si aggiunge ancora un numero non precisato di giornalisti di cui non si è ancora potuto verificare la ipotizzata morte.
Questi numeri, già di per sé allarmanti, diventano ancora più critici nel momento in cui si confrontano con i numeri di giornalisti deceduti in altri conflitti. Ad esempio, in Vietnam ufficialmente persero la vita 63 giornalisti nel corso di 20 anni. In Ucraina, stando all’International news safety institute, a dicembre 2023 si riportavano 17 giornalisti uccisi dall’inizio dell’invasione russa. Infine, sempre secondo quanto riportato dal Cpj, dal 2003 al 2023 sarebbero 283 i giornalisti che avrebbero perso la vita in Iraq. Tuttavia, seppur quest’ultimo dato sia sconcertante, si tratta pur sempre di decessi avvenuti nel corso di 20 anni. Nella Striscia di Gaza, 79 giornalisti sono morti in appena tre mesi di conflitto.
Secondo quanto affermato da Israele, l’Idf non starebbe prendendo di mira i giornalisti a Gaza di proposito e le morti risulterebbero essere quindi un effetto collaterale della guerra in atto. La natura stessa di questo conflitto, fatto di bombardamenti a tappeto in aree civili e di guerriglia urbana, è infatti già di per sé causa di un numero più alto del normale di morti, sia tra i civili sia tra i giornalisti.
Tuttavia, Al Jazeera aveva già fatto sapere a dicembre che avrebbe riferito alla Corte criminale internazionale il caso della morte del giornalista e cameraman Samer Abudaqa, il quale secondo l’emittente sarebbe stato preso specificatamente di mira, così come molti altri giornalisti, in modo da silenziare quanto sta accadendo a Gaza.
È infatti importante ricordare che il conflitto si sta svolgendo in un’area in cui l’accesso ai giornalisti esteri è vietato. Pertanto, il lavoro fatto dai reporter a Gaza è essenziale per garantire una copertura trasparente e affidabile del conflitto, il quale è altrimenti caratterizzato da propaganda diffusa su entrambi i fronti e disinformazione.
«Il Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti – ha scritto in un documento approvato all’unanimità l’ente professionale che rappresenta i giornalisti italiani – aggiunge alla vicinanza alle famiglie colpite, la condanna per chiunque, deliberatamente o meno, vuole impedire il diritto di informare. È proprio in momenti come questi che è ancora più necessario scongiurare il blackout informativo, garantire l’accesso libero e sicuro dei reporter, individuare le forme più corrette di confronto di idee».
Inoltre, l’Ordine dei giornalisti italiani «ribadisce che sono proprio le testimonianze, i dati, le competenze il primo baluardo alla disinformazione e alle fake-news, fenomeni questi che stanno pericolosamente alimentando nuovi casi di antisemitismo, anti-islamismo e tutte le altre forme di razzismo».