14.8 C
Roma
domenica 18 Maggio 2025
spot_img
spot_img

Giornale di attualità, opinioni e cronache dall'Italia e dal mondo
direttore: Massimo Marciano

HomeOpinioniIl Salone del libro, rifugio per la fragile identità degli intellettuali

Il Salone del libro, rifugio per la fragile identità degli intellettuali

Se le fiere non usciranno dall'autoreferenzialità rischieranno un brusco risveglio e scoprire che il settore dell’editoria è davvero in crisi

- Pubblicità -

Sono stata diverse volte al Salone del libro di Torino (troppe, a dir la verità). Confesso, con un certo imbarazzo, di non averlo mai compreso del tutto. Non l’evento in sé, è una fiera; e ogni fiera è infelice a modo suo. Il problema principale, per quanto mi riguarda, è che non so cosa fare. Letteralmente.

Mi aggiro per gli stand (come si fa in qualsiasi fiera), ma mi chiedo: quanto può durare questo percorso? Un’ora, forse due. E poi? L’effetto è molto simile alla prima volta che andai in discoteca: non sapevo cosa fare, dove collocarmi, neppure come tenere la borsa. 

Il secondo problema è che gli altri (esattamente come avveniva in discoteca) si divertono tantissimo. In maniera esagerata rispetto a ciò che sta accadendo. È un tripudio di sorrisi, baci, abbracci e incontri. Le persone sono felici, e non c’è nulla di male, ci mancherebbe. Felici e affollati come a viale Ceccarini negli anni Novanta. Qualche anno fa mi dissero: «Ma no, Elisa, la parte bella del Salone sono le feste, è il dietro le quinte».

- Pubblicità -

Ed è vero: la gente (tutta) è felice di partecipare a delle feste, più o meno esclusive, la sera, dopo la fiera, in orari improbabili, almeno per me che dopo 5 ore di treno ed altrettante ad aggirarmi tra gli stand cercando di capire cosa fare, non mi sognerei mai di recarmi in una zona sperduta della città per fare non so bene cosa. E invece ho visto, con i miei occhi, adulti, professionisti, felici di salire su un pulmino a mezzanotte per andare, come nelle migliori delle gite scolastiche del liceo, alla festa di fine anno.

Ho visto persone felici di ricevere un bigliettino con l’invito a un party esclusivo. Confesso, sempre con il dovuto imbarazzo, che un anno sono andata anch’io a uno di questi eventi. E non avrei mai dovuto farlo perché lì la mia incomprensione delle cose ha raggiunto l’apice. Se vi state chiedendo cosa accada la risposta è niente. Musica techno o anni Novanta (sì, credo che l’editoria italiana abbia un problema/ossessione con gli anni Novanta), buio, gente che si aggira con una birra in mano cercando di intercettare le persone giuste.

In pratica, un normale sabato sera romano a San Lorenzo, solo con adulti che portano ancora il pass della fiera per dimostrare che loro sono speciali, diversi, intellettuali. Io che purtroppo di intellettuale non ho neppure l’aspetto, ho dovuto ascoltare, con lo stupore di un personaggio di Woody Allen, frasi più o meno assurde.

E alle feste non so cosa fare (è inutile che ve lo dica). Primo perché non conoscevo (non conosco) nessuno e perciò non servo a nessuno: agli eventi tra intellettuali vieni avvicinato o ti puoi avvicinare solo se hai qualcosa da scambiare, altrimenti non servi a nessuno. L’idea alla base è un po’ la festa del liceo: in cui quelli dell’ultimo anno credono di essere famosi, e invece non li conosce nessuno.

Questo è un punto che mi preme sottolineare: la fiera è per sua natura il luogo dove un determinato settore, composto da una categoria precisa di lavoratori, fa conoscere il suo prodotto alle masse: lo scopo è avvicinare più persone possibili a un pezzo della nostra società. Le fiere del libro sono invece assolutamente autoreferenziali: lo scopo non è far conoscere i libri, ma fare in modo che la collettività riconosca visivamente la tua identità, il tuo ruolo di intellettuale. 

Non è un caso che ogni anno ci sia una polemica politica o una protesta. Che non serve tanto a fare luce su un problema, ma ad accendere i riflettori su chi la fa, a far capire subito da che parte si sta. E non c’è modo migliore per rafforzare la propria fragile identità di intellettuale che tirare fuori la Palestina (era così al liceo, è così ancora oggi). I più impegnati parlavano di quello, mica del Kosovo.

E oggi si parla giustamente della Palestina (e dovremmo farlo sempre, sia chiaro), ma mai del Sudan o di Haiti. L’Ucraina no perché è già storia vecchia e poi ha l’enorme problema di non far capire subito da che parte si sta.

Se le fiere del libro non usciranno dalla loro autoreferenzialità, rischieranno di avere un brusco risveglio: e scoprire che il settore dell’editoria è davvero in crisi; che si pubblica troppo (spesso a discapito della qualità); che le persone leggono poco e male (perché esistono tanti libri brutti); e che non basta essere nel giro per diventare un intellettuale. 

Così come non basta circondarsi di libri per capirli, o peggio per capire il mondo; e no, l’editoria non verrà salvata se qualcuno su Instagram vi consiglierà di leggere.

- Pubblicità -
Elisa Carrara
Elisa Carrara
Giornalista pubblicista, mi occupo di cultura, diritti umani e geopolitica. Ho scritto su Flanerí, Limina e MagO, la rivista della scuola Omero. A volte ufficio stampa per il terzo settore.
- Pubblicità -AD - Tipografia Giammarioli

Primo Piano

Ultimi Articoli

error: Content is protected !!