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Primo maggio: quale lavoro celebriamo?

Pare che non sia l'orario lavorativo a ridursi com'era nell'intento originario delle lotte sindacali, ma sia l'occupazione stessa a scomparire

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Primo maggio, festa dei lavoratori in larga parte del mondo. Nata (non tutti lo sanno) per festeggiare le lotte dei lavoratori, originariamente orientate alla riduzione dell’orario lavorativo. Avete capito bene. Alla riduzione dell’orario. Non a lavorare meglio, in modo più sicuro o dignitoso. Ma a lavorare meno.

Già questo dovrebbe far sorgere più di una riflessione su quello che è stato il perno della cosiddetta lotta di classe ed il ruolo dei sindacati nella storia. Tanto più oggi che c’è da chiedersi ma quale lavoro stiamo celebrando oggi? Il lavoro degli Elkann che, solo dopo aver incontrato il ministro Urso, ha generosamente presenziato (bontà sua) davanti al parlamento a Roma raccontando quanto alla sua famiglia da sempre stanno a cuore i lavoratori, ma oggi vuol di nuovo passare all’incasso vendendo Iveco defence (la cui gestione sarebbe già stata affidata a Goldman Sachs), oppure festeggiamo il lavoro che hanno perso i 249 dipendenti dell’indotto Stellantis?

Festeggiamo il lavoro dei nuovi poveri che consegnano a noi, sempre più pigri e indolenziti, cibi di ogni specie attraversando le nostre città su biciclette o mezzi simili in ogni condizione meteorologica? O festeggiamo le declamazioni che ogni parte politica (Istituzioni comprese) fanno ogni anno come lotta politica, loro che sono spesso quanto di più lontano dal mondo del lavoro reale (e del valore aggiunto) ci sia?

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I salari reali sono aumentati, come dice la presidente Meloni, è vero. Ma solo quest’anno.
Facendo infatti il confronto coi due anni precedenti il bilancio (anzi, il saldo) resta negativo. E negativo è pure il bilancio sul lungo periodo, certificato da un organismo internazionale al di sopra di ogni sospetto come l’Ilo (Organizzazione italiana del lavoro), che segnala come gli stipendi degli italiani restano ben 8,7 punti sotto il livello del 2008. L’inflazione è scesa e molti contratti sono stati rinnovati, e questo ha contribuito a migliorare la situazione, ma (tanto per fare un esempio) se nei ministeri e nella sanità le trattative oggi sono al palo è perché a fronte di un’inflazione cumulata che ha toccato il 17% il governo offre incrementi che non arrivano al 6%.

Studi interessanti ci dicono che il lavoro non è destinato a ridursi sempre di più (Gates e company da anni vanno “profetizzando” la settimana sempre più breve) ma è destinato a proprio a scomparire. Ma non era da lì che per generazioni ci è stato insegnato che passava la dignità dell’essere umano? «Il lavoro nobilita l’uomo» («e lo rende simile alla bestia», chiosava qualcuno).

Siamo forse anche in questo campo davanti ad un cambio di paradigma? Come quello che stanno facendo in tutti gli ambiti dalla salute ormai confusa con la cura e il valore della guerra al posto di quello della pace? Io credo di sì. Ed è, anche questa, una guerra tra chi si sforza di analizzare i fatti per tentare di fermare il carro prima del baratro e chi si lascia trasportare inerme, pensando (erroneamente) che nulla si possa fare.

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Lorenza Morello
Lorenza Morellohttps://lorenzamorello.it/
Giurista d'impresa e presidente nazionale Apm (Avvocati per la mediazione), si occupa di aziende, internazionalizzazione e ristrutturazione del debito e ritiene da decenni che la sua “missione” sia quella di rendere il diritto più comprensibile a tutti. Aiuta le aziende e le persone a prevenire il conflitto anziché venirne travolte. Laurea in giurisprudenza a Torino, 110 magna cum laude e premio Bruno Caccia, ha studiato a Oxford, Strasburgo, Oldenburg, Atene e Montreal. Autrice di molteplici pubblicazioni (tra le ultime "No taxation without representation") è nota nel mondo radiofonico e televisivo in Italia e all'estero anche grazie al suo ruolo di consulente di “Casa Italia”, su Rai Italia, in cui risponde ai quesiti e ai dubbi degli italiani nel mondo.
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