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Ucraina: come dare scacco matto alla guerra in dieci mosse

È una crisi mondiale e senza una offensiva diplomatica globale il rischio è impantanarsi in un nuovo Vietnam, con in più il rischio nucleare

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Ma dove è scritto che seguire la via diplomatica significa chiedere agli ucraini di arrendersi ai russi, rinunciare alla propria libertà e assoggettarsi a un stato di schiavitù? Che sul modo di uscire da questa crisi, che NON è una crisi russo-ucraina ma è una crisi mondiale, ci siano più modi diversi è ovvio e sono convinto che tutti gli intellettuali che ne parlano in tv lo facciano in buona fede. Quello che invece non si capisce è perché alcuni di essi facciano delle loro personali deduzioni che poi ribaltano come fatti oggettivi su chi è di parere diverso dal loro.

Il ragionamento è il seguente: ti chiedi se sia il caso di inviare armi o sia meglio negoziare? Allora vuoi che gli ucraini si arrendano a Putin e diventino suoi  schiavi e mi meraviglio che tu non capisca questa cosa che invece capisce ogni persona di buon senso che abbia a cuore la democrazia e la libertà!

È vero, e non si fa fatica a riconoscerlo, che la inaspettata resistenza ucraina ha indebolito moltissimo Putin ma che prezzo hanno pagato, stanno pagando e continueranno a pagare almeno due generazioni di ucraini per i quali (e non solo per loro) il futuro è ancora tutto un’incognita? Dice: ma tu cosa proponi di fare con la diplomazia? Proverò a rispondere per punti.

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1) Essendo la crisi in atto una crisi mondiale, ogni eventuale negoziato diplomatico dovrebbe essere necessariamente mondiale.

2) Una pace russo-ucraina che non tenga conto di quel che c’è dietro la guerra in atto (rapporti Russia-Usa; rapporti Usa-Nato; rapporti Europa-Russia; rapporti Europa-Usa; rapporti di Russia, Europa e Usa con la Cina e con gli altri Paesi emergenti, eccetera) non servirebbe a niente e ci si potrebbe trovare a breve di fronte a numerosi altri focolai di crisi come l’attuale.

3) Un negoziato mondiale è l’arma diplomatica che in questo momento dovrebbe servire a riportare la Russia “sulla retta via” (non a caso parlo di Russia e non di Putin, il quale potrebbe auspicabilmente anche essere deposto e sostituito) e a tracciare le linee per un futuro mondiale almeno di convivenza se non di collaborazione.

4) Per rendere possibile un negoziato del genere quelle che occorrerebbero sono azioni diplomatiche per creare un fronte comune da contrapporre alla Russia con reciproci impegni e rassicurazioni.

5) Ciò che sicuramente non giova a questa soluzione sono: le continue minacce «di farla pagare» a questo o a quello (una volta alla Russia, un’altra alla Cina); le manifestazioni di intransigenza nel voler «difendere ogni centimetro di territorio Nato» e tutti quei propositi bellicosi comprensibili se manifestati dall’Ucraina nei confronti della Russia, cioè dal Paese aggredito e invaso di fronte al suo aggressore, ma molto meno comprensibili se messi in atto da chi, come gli Stati Uniti forti della loro ricchezza, potenza e… democrazia, dovrebbe mostrare al mondo intero di… aver più ragione e saperla usare.

6) Impostare tutta la reazione all’atto inqualificabile di Putin solo sull’intransigenza, sulla potenza militare, sul prolungamento e sull’aggravarsi della guerra già in atto e sulle continue minacce di “farla pagare” a tutti, ignorando o peggio ancora facendo finta di ignorare i possibili sviluppi nucleari della guerra o forse non ignorandoli affatto ma magari contando sulla circostanza che a pagarne le conseguenze sarebbe principalmente l’Europa, non mi pare una soluzione buona né corretta specialmente da parte di chi si erge a poliziotto del mondo o addirittura a garante della libertà e della democrazia.

7) Se la scelta è quella delle armi, allora bisognerebbe avere il coraggio di tracciare un percorso ben preciso, avanzare delle richieste chiare, insomma un ultimatum, e indicare altrettanto chiaramente quali sono i passi previsti in caso di mancato accoglimento delle richieste.

8) Continuare a fare la voce grossa (e qualche sparata da cowboy) è una cosa che deteriora il clima già pessimo e giova solo a Putin, il quale non a caso continua a fare, o a far fare, reiterati accenni alle armi nucleari avendo buon gioco nel sostenere di fronte al suo popolo e ai suoi sostenitori che quella nucleare è l’unica vera difesa della Russia contro la crescente ostilità del “nemico occidentale”.

9) In conclusione, il rischio di volersi ostinare a prolungare e intensificare la guerra, senza peraltro sapere bene fino a che punto e in che modo essere disposti a parteciparvi (tanto a combattere e morire ci pensano gli ucraini), è quello di trovarsi  impantanati in una ennesima guerra di logoramento, combattuta a metà, con un finale come quelli già visti in Vietnam, in Iraq, in Afghanistan e in tanti altri posti in giro per il mondo: un film di cui gli americani sono attori esperti e in cui gli europei sarebbe forse ora che avanzassero la pretesa di poter metter mano alla sceneggiatura.

10) Tutto quanto fin qui detto… senza tener conto che in questo mondo bene o male dovremo continuare a vivere tutti insieme e quindi provare a gettare ponti diplomatici è forse più conveniente che scavare trincee o alzare muri dai quali continuare a spararci addosso gli uni contro gli altri.

A bella posta ho cercato di guardare solo al futuro e ho evitato di parlare del passato, di come si sia arrivati a questa situazione, delle “ragioni” di questa o quell’altra parte, eccetera eccetera, e l’ho fatto un po’ perché è indubbio che oggi come oggi ci troviamo di fronte a un aggressore e a un aggredito, e quindi la cosa più urgente è porre fine a questa aggressione, e un po’ perché già è difficile parlare di scelta tra armi e diplomazia senza venire accusati di “pacifismo ipocrita” figuriamoci a parlare del passato, di cause e di “ragioni”!

È certo però che se l’obiettivo finale fosse quello di creare dei presupposti di una pace allargata e duratura allora anche le questioni del passato andranno prese in considerazione, non fosse altro che per trovare valide soluzioni alternative accettabili da tutti… a meno che non si voglia continuare a battere i pugni sul tavolo fino a quando uno di questi pugni non finisca più o meno inavvertitamente su qualche bottone rosso.

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Achille Nobiloni
Achille Nobiloni
Nato a Frascati (Roma) nel 1952. Giornalista pubblicista. Dieci anni corrispondente del Messaggero dalla provincia; quindici anni redattore dell'agenzia Staffetta Quotidiana Petrolifera, venti anni dirigente d'azienda in Agip Petroli e in Eni nella direzione Relazioni Esterne e Rapporti Istituzionali. Attualmente in pensione, appassionato di storia locale e arte.
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