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Strage di pesci nel Golfo di Biscaglia, mistero con inquietanti interrogativi

Secondo ambientalisti francesi, il peschereccio Magiris potrebbe aver gettato in mare pesci pescati poco redditizi ai fini commerciali, morti

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Per chi ha visto, una vera strage senza spiegazioni: nell’Oceano Atlantico, al largo delle coste francesi, nel Golfo di Biscaglia, a 300 chilometri da La Rochelle, è stato avvistato un enorme banco di pesci, tutti morti e galleggianti. Una sconfinata distesa di carcasse di pesce, oltre 100mila, fluttuanti a pelo d’acqua: l’area copre una distesa di oltre 3mila metri quadrati, come testimoniano foto e video pubblicati sui social.

La vittima sacrificale è il melù, conosciuto anche come potassolo, specie comune nell’Oceano Atlantico e nel Mediterraneo, molto simile a un merluzzo. Provengono da quello che è uno dei pescherecci più grandi al mondo, il Magiris, 143 metri di lunghezza, ma non è ancora chiaro cosa sia successo esattamente.

La Pelagic Freezer-Trawler Association, l’associazione europea dei pescherecci da traino congelatori, in pratica industrie del mare galleggianti, che rappresenta l’armatore della nave, ha dichiarato che il peschereccio, gestito da una compagnia olandese, ha subito la rottura accidentale della gigantesca rete usata per la pesca a strascico, una rete lunga 600 metri in grado di contenere fino a 6mila tonnellate di pesce, definendolo un evento molto raro. In linea con le normative Ue, l’incidente è stato registrato sul giornale di bordo e segnalato alle autorità dello Stato di bandiera della nave, la Lituania.

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Secondo il gruppo ambientalista Sea Shepherd France, il peschereccio potrebbe aver deciso di liberarsi di una parte dei pesci pescati accidentalmente e poco redditizi ai fini commerciali (il melù è utilizzato di solito per fare il surimi) rigettandoli in mare per non intaccare le quote di pesca assegnate. Va ricordato, che questa pratica è vietata dalle norme dell’Unione Europea.

La ministra per gli affari marittimi francesi ha definito l’incidente sconcertante, promettendo un’indagine e assicurando che il pescato sarà rimosso dalle quote della barca. In passato la Magiris era stata messa al bando dalle acque territoriali dell’Australia in seguito a una protesta pubblica per i metodi di pesca, considerati ad altissimo impatto sugli ecosistemi marini.

E questi sono i fatti accaduti. Riflettiamo un attimo.

Di queste imbarcazioni svuota-oceani ne esistono almeno una ventina. Incidenti come quello accaduto alla Magiris ne possono succedere, ne saranno successi, ne succederanno, moltiplichiamo. Questa devastazione spiega esattamente perché gli oceani sono così in difficoltà.

Centomila melù di un peso medio di 500 grammi ciascuno corrispondono a 500 quintali di pesce sprecato, distrutto, buttato: quanta gente è possibile sfamare con 500 quintali di pesce? Tanta, tantissima. E che danno si è prodotto pescandolo? Perché le reti adoperate per questo tipo di pesca non sono selettive, non scelgono, non fanno differenze: i melù sono la base ma all’interno può esserci di tutto: squali, delfini, tartarughe.

La considerazione qual è? Tra non molto non ci sarà più pesce da pescare: queste imbarcazioni lasciano dietro di loro un ecosistema devastato e non in grado di recuperare. Stock ittici mondiali in rapido declino: dati Fao indicano che il 90% sono pienamente o eccessivamente sfruttati. Stessa sorte anche per il Mediterraneo: il 96% delle specie di fondale è soggetto a uno sfruttamento eccessivo.

Il 40% della popolazione mondiale non può permettersi un’alimentazione sana, il 14% del cibo mondiale va perso nelle fasi di commercializzazione e il 17% deperisce per mancato consumo. Il cambiamento climatico altera la produttività e i prodotti mentre la biodiversità è in sofferenza e le aree di produzione (terreni, acque e oceani) si deteriorano costantemente per via degli sfruttamenti intensivi.

C’è ancora altro da sapere per capire che solo i consumatori, noi, possiamo cambiare ciò che sta accadendo al nostro unico mondo?

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Matteo Lai
Matteo Lai
Naturalista, subacqueo, velista ed esperto di educazione ambientale: il mare è la sua passione. Da qualche anno collabora con una società che si occupa di turismo scolastico dove si occupa di educazione ambientale e vela puntando sempre la sua attenzione sui temi della tutela ambientale e della natura. Con la fondazione di One World ha un obiettivo molto semplice: sensibilizzare i cittadini sul valore della tutela ambientale. One World, che ha sede ad Andria (BT), è un’associazione no profit per la tutela ambientale, nata dal desiderio di smuovere la coscienza sociale al fine di radicare nuovi valori ed innescare, così, un circolo virtuoso di comportamenti eco–friendly consapevoli. Tutte le attività che l’associazione One World promuove hanno sempre una valenza educativa finalizzata alla diffusione di una maggiore conoscenza, sensibilizzazione e rispetto dell’ambiente.
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