Finché l’Italia è e resterà una Repubblica parlamentare il suo Presidente dovrà essere una specie di Cincinnato al quale il Paese si rivolge tramite il Parlamento chiedendogli di ricoprire il più alto incarico istituzionale in rappresentanza dello Stato e della Nazione. La situazione ottimale sarebbe quella in cui la Politica riuscisse a individuare una persona in grado di mantenersi al di sopra delle parti, fornita delle doti che più si adattano al particolare momento internazionale che stiamo attraversando (grande autorevolezza morale e civile; indipendenza politica; competenza nelle materie economiche; capacità di mediazione; sensibilità per i problemi sociali e ambientali; relazioni internazionali; perché no, conoscenza delle lingue, e via dicendo), dotata inoltre di un grande senso della giustizia e in grado di unire il Paese e rappresentarlo adeguatamente sulla scena internazionale.
Fuori luogo apparirebbe invece ogni tipo di autocandidatura, diretta o mascherata, che impegnerebbe i candidati stessi in una specie di campagna elettorale simile a quelle per l’elezione diretta del sindaco, esponendoli a ogni sorta di accuse, calunnie e pettegolezzi per cui l’eletto, chiunque fosse, ne uscirebbe comunque coperto da uno spesso strato di fango che non sarebbe certo quanto di più dignitoso per un Capo di Stato né per il Paese e la Nazione che egli dovrebbe rappresentare.
Eventuali autocandidature risulterebbero poi divisive proprio perché nascenti dai singoli e non come risultato del lavoro di sintesi che nella fattispecie dovrebbe essere svolto dal Parlamento, lavoro che non dovrebbe risolversi unicamente nel voto ma, al contrario, dovrebbe avere la sua parte più nobile proprio nella ricerca e nella individuazione di un candidato condiviso.
Se si concorda con quanto sopra non si può quindi fare a meno di restare perplessi, preoccupati e avviliti di fronte al panorama che ci offrono i quotidiani di oggi con i resoconti della giornata politica di ieri: non incontri e confronti incrociati di tutte le forze politiche alla ricerca del successore di Mattarella ma un vertice del centrodestra a casa di quello che oggi, a nove giorni dal voto, appare il solo (auto)candidato alla presidenza della Repubblica; un gioco di pura rimessa da parte del leader del centrosinistra nella speranza che la candidatura del centrodestra non vada in porto così da poter, forse, convergere sul nome dell’attuale presidente del Consiglio, risolvendo in tal modo un problema ma aprendone un altro di non poco conto; unico punto fermo la totale chiusura del M5S all’attuale candidatura del centrodestra, sia pure tuttora sottoposta a riserva da parte dello stesso (auto)candidato, il cui iperattivismo è tuttavia ironicamente sottolineato oggi da Massimo Gramellini nella sua rubrica sul Corriere della Sera sotto il titolo “Un uomo riservato” di cui raccomando la lettura.
Insomma, in un quadro in cui la Politica dovrebbe essere chiamata a svolgere il proprio ruolo al più alto livello i suoi protagonisti sembrano ancora brancolare nel buio (o tramare dietro le quinte?) su una questione potenzialmente capace di sconvolgere profondamente l’attuale assetto del Paese. In ballo non c’è infatti la sola Presidenza della Repubblica ma anche i possibili risvolti di essa su quella del Consiglio: in caso di scontro sulla successione di Mattarella e di una soluzione non condivisa, quale sarebbe l’atteggiamento del centrodestra? E in caso di elezione di Draghi al Quirinale quali sarebbero le richieste dello stesso centrodestra su Palazzo Chigi e le conseguenze che ne deriverebbero?
E, ultima domanda per me senza risposta, qual è il livello vero di interesse dei cittadini all’elezione del nuovo Presidente della Repubblica? Si tratta di una scadenza che potrà riavvicinarli in qualche misura alla politica o finirà con l’allontanarli ancora di più da essa?
È anche questo un aspetto che i partiti e i loro leader farebbero bene a tenere nel debito conto: l’esito della questione dipenderà in gran parte da come essi si comporteranno in questi nove giorni che ci separano dal voto.