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Pasqua: un giorno ricco di significati da riscoprire, ora più che mai

Dietro la ricorrenza vi sono storia, mitologia, tradizioni, cultura. Riti e simboli rappresentano valori da riscoprire e conservare per tutto l'anno

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«Ne usciremo migliori». È stato uno dei motti più ripetuti, sui social network come negli striscioni appesi alle finestre e ai balconi, durante il periodo più duro del lockdown dello scorso anno. Per il momento, dalla pandemia non ne siamo usciti e, a vedere dalle insofferenze personali e dalle tensioni sociali che si registrano, lo stress delle restrizioni per l’emergenza sanitaria sicuramente migliori non ci ha ancora resi. La seconda Pasqua (e Pasquetta, giorno tradizionale di “scampagnate”) consecutiva da passare chiusi in casa può essere un’occasione per spingerci verso il miglioramento auspicato, riflettendo sul significato vero di questa ricorrenza, senza le “distrazioni commerciali”, che oggi ci sono forzatamente precluse.

Come tutte le ricorrenze più importanti, anche la Pasqua affonda le sue radici negli antichi culti pagani legati ai cicli della vita e delle stagioni. Che la mitologia raffigura attraverso personificazioni divine. Come, in questo caso, quella di Attis, nipote di Zeus: un mito giunto dall’Asia a Roma nel primo secolo avanti Cristo, legato a quello di un’altra dea, Cibele, figlia del re di Frigia.

I due si innamorano e vivono una passione tanto forte quanto controversa, sia nelle narrazioni che divergono fra loro sia nello stesso svolgimento della loro storia. Secondo alcune narrazioni a dividere i due sarebbe stato il tradimento di Attis con una donna umana; secondo altre sarebbe stato il padre di Cibele, contrario a quel rapporto, a intervenire. Nel primo caso Attis, scoperto da Cibele, preso dal rimorso si sarebbe evirato; nel secondo, a evirarlo sarebbe stato per vendetta il padre di Cibele. In ogni caso la dea, dopo la morte dell’amato, avrebbe usato i suoi poteri divini per trasformarlo secondo alcuni in un pino, secondo altri in una quercia.

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Il mito della rinascita dopo il versamento del sangue e la morte, in ogni caso, è la fonte dei riti di questo periodo dell’anno, che segna il passaggio dall’inverno alla rinascita della primavera. Ed è per questo che la ricorrenza è collegata all’equinozio, il passaggio dal buio che domina l’inverno alla luce che caratterizza della primavera, che in questi giorni hanno uguale durata nello scorrere della giornata.

Partendo dalla radice semantica “pasha”, che in greco antico significa “passare oltre”, è stata poi la tradizione ebraica a chiamare Pasqua la festività che ricorda il passaggio attraverso il Mar Rosso del popolo ebraico che fuggiva dalla schiavitù in Egitto. Per i cristiani l’etimologia del nome originario viene spiegata in modo diverso, partendo da un altro termine greco, “panthein”, che significa “soffrire”. La Pasqua è quindi la rappresentazione della Passione di Cristo, oltre che della sua resurrezione.

Nelle tradizioni popolari di alcune zone dell’Italia sono rimasti ancora oggi forti richiami del mito originario, che quindi rappresenta un elemento fondante della cultura di alcuni luoghi. Come Nocera Terinese, in Calabria. Questa cittadina del catanzarese è nota perché nella settimana santa si celebra anche il rito devozionale della flagellazione: una delle tradizioni raccolte e studiate dallo storico ed etnografo calabrese Antonino Basile. «Non è meraviglia – scrive lo studioso di Palmi nel suo volume “Folklore della Calabria” – che sopravviva ancora in un vecchio paese della Calabria il rito antichissimo del sangue: originario per la morte di Adone e per la sua resurrezione e per la morte e la resurrezione di Attis esso rimane in Nocera Terinese, ma adottato alla commemorazione della morte e della resurrezione del Cristo, come sopravvivenza o meglio reviviscenza».

Un patrimonio culturale che, scavando in profondità, ritroviamo nei riti e nei simboli attraverso i quali viviamo la Pasqua, come l’uovo, simbolo di rinascita, e il coniglio, simbolo di fertilità e quindi di nuova vita. Riti e simboli che dovrebbero essere quindi uno strumento per ricordarci che certi valori e certi sentimenti dovrebbero accompagnare ognuno dei nostri giorni e ognuna delle stagioni della nostra vita, e non essere solo oggetti da tirare fuori dagli scatoloni una volta l’anno, per poi correre appresso alla frenesia di simboli commerciali che hanno preso il posto di quelli della tradizione culturale. Un richiamo che, nel percorso di rinascita dalla pandemia, dovremmo avere più che mai a cuore.

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Stefania Basile
Stefania Basile
Sono nata nel 1977 all'estremità meridionale della Calabria tirrenica, nella città di Palmi, che si affaccia sullo stretto di Messina e sulle splendide isole Eolie. Amo le mie origini e Roma, la città dove vivo per motivi professionali. Come diceva la grande Mia Martini: «il carattere dei calabresi a me piace moltissimo. Possiamo sembrare testardi, un po' duri, troppo decisi. In realtà siamo delle rocce, abbiamo una grande voglia di lavorare e di vivere. Io non sono di origine, io sono proprio calabrese!».
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