
Mente e cuore
I dialoghi della giornalista Lisa Bernardini con Adriano Formoso sui fatti che animano le cronache e che fanno discutere l’opinione pubblica, analizzati e commentati.
A Pavia una studentessa di 19 anni ha aperto la porta al vicino di casa che le chiedeva del latte. Quel gesto umano, semplice e fiducioso, è diventato occasione di un atto disumano. Quante volte ci chiediamo chi sia davvero l’uomo che abusa. Questo fatto di cronaca, agghiacciante come molti altri che raccontano la violenza sessuale, ci invita a fermarci e riflettere a partire proprio dall’anatomia psichica di una violenza annunciata. Ne parliamo con Adriano Formoso.
Dottor Formoso, possiamo affermare che esiste sempre una storia dietro la violenza?
«Sì. Dietro ogni violenza c’è una storia: silenzi familiari, modelli educativi distorti, una cultura che confonde il potere con l’amore. Nel caso di Pavia, un gesto di fiducia si è trasformato in orrore: un uomo di 29 anni ha distrutto in un attimo il senso di sicurezza di una ragazza. Da psicoterapeuta mi chiedo chi sia davvero l’uomo che abusa. Non nasce tale: si forma in assenza di empatia, in ambienti rigidi e affettivamente carenti, dove il potere sostituisce il contatto e l’altro diventa un oggetto, non più una persona».
Che significato ha l’atto sessuale in questi casi?
«È un tentativo disperato di possedere ciò che si teme di non meritare: amore, intimità, vicinanza. La violenza sessuale è un rituale oscuro della fragilità maschile, dove l’aggressività nasconde il terrore di essere impotente davanti alla libertà della donna. È il gesto malato di chi confonde unione e conquista, corpo e anima, cercando un controllo illusorio sul vuoto interiore. Non è un “mostro”, ma il prodotto di una società che non educa alla tenerezza e all’ascolto del corpo. L’ho visto nei gruppi terapeutici in carcere con autori di reato sessuale: uomini che per la prima volta si trovano a guardarsi dentro. In quel contesto lo psicologo non giudica, ma ascolta, come un testimone silenzioso della loro umanità ferita».
Come reagiscono i detenuti di fronte ad una figura professionale come la sua?
«All’inizio prevale la diffidenza: silenzi, sguardi sfuggenti, ironie difensive. Dietro la corazza, però, c’è paura: quella di essere visti per ciò che si è davvero, fragili e colpevoli. Molti negano: “Non è andata così”, “Lei era consenziente”. È un modo per difendersi dal crollo morale. Con il tempo, qualcuno si incrina; la voce trema, il tono cambia, e affiora un barlume di consapevolezza: “Lei non è più la stessa persona da quel giorno”. In quel momento nasce il rimorso, e con esso l’umanizzazione. Non tutti ci arrivano: molti restano prigionieri del diniego, del bisogno di sentirsi “diversi”. Nel gruppo, il silenzio vale più di mille parole: è lì che comincia il cambiamento. Il mio compito è custodire quel ritmo, essere il cuore che tiene insieme un corpo ferito, ma ancora vivo».
Per concludere: qual è l’obiettivo della terapia di gruppo in carcere?
«L’obiettivo non è assolvere né condannare, ma ricostruire un contatto con la parte umana perduta. Solo chi riesce a provare empatia per la vittima e dunque per sé stesso come uomo che ha distrutto, può iniziare un percorso di reale cambiamento. Per molti purtroppo non accadrà mai, per altri accade in un momento silenzioso in cui una parola pronunciata da un compagno o un ricordo improvviso apre una breccia nella corazza. E in quella breccia entra per la prima volta un barlume di coscienza. Rispetto a questo tema, come “cantore di una coscienza collettiva” a corte di un’umanità fragile che osservo dalla mia professione, porto con pudore sul palco il mio spettacolo Formoso Therapy Show, dove cerco di offrire stimoli e direzioni per trasformare i traumi in consapevolezza e la sofferenza in pace interiore».
ADRIANO FORMOSO
www.adrianoformoso.com
Adriano Formoso vive e lavora a Milano ed è il primo cantautore italiano, psicologo, omeopata, naturopata e psicoterapeuta ad aver portato la musica in un reparto ospedaliero di ostetricia e ginecologia, presso un importante ospedale milanese.
Ricercatore nell’ambito delle neuroscienze, Adriano si dedica allo studio della relazione tra musica, cervello ed emozioni.
Le sue competenze gli hanno permesso di essere protagonista della rubrica del TG2 "Tutto il bello che c’è" attraverso le sue “pillole” di canzoneterapia e Neuropsicofonia, un approccio innovativo che coniuga arte, scienza e psicologia.
Autore del libro Nascere a tempo di rock, applaudito al Salone internazionale del libro di Torino, ha reso la musica uno strumento per il benessere psicologico e per la crescita personale, integrandola nel suo percorso terapeutico e artistico.
Fondatore del Centro di psicologia e psicoterapia e del Centro di ricerca in psicoanalisi di gruppo bioniana e di neuropsicofonia a Garbagnate Milanese, ha iniziato la sua carriera unendo arte e terapia già in giovane età, lavorando nel carcere minorile Beccaria di Milano.
Da lì, ha proseguito la sua opera nei servizi territoriali per le tossicodipendenze, nelle comunità terapeutiche e nei centri psicosociali per pazienti con gravi patologie come la schizofrenia.
Nel mondo dello spettacolo, Adriano ha portato la relazione di aiuto al servizio del benessere psicologico attraverso il suo innovativo Formoso therapy show. Questo spettacolo, che unisce musica e formazione, è stato accolto con entusiasmo nei teatri italiani, dove aiuta il pubblico a riflettere su temi come la crescita personale e la gestione dei disturbi psicologici.
Cantautore apprezzato, opinionista radiotelevisivo, scrittore e autore di articoli scientifici, Adriano Formoso continua a ispirare con la sua capacità unica di intrecciare musica, psicologia e ricerca scientifica, rendendo l’arte un potente mezzo di trasformazione e benessere.
Le canzoni di Adriano Formoso sono disponibili in rete sulle piattaforme digitali di streaming e in rotazione radiofonica.
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