Agenzia DIRE
(Sausan Khalil)
Circa mille camion pieni di cibo destinata a Gaza sono andati ditrutti per mano dell’Idf, le Forze di difesa israeliane. Si tratta di aiuti alimentari scaduti e deteriorati dal sole, dopo settimane di attesa al valico di Kerem Shalom. A raccontarlo sono fonti militari riprese dall’emittente televisiva israeliana Kan News, secondo cui parte del cibo è stata seppellita e un’altra bruciata. «Ancora oggi ci sono migliaia di pacchi in attesa al sole e, se non verranno trasferiti a Gaza, saremo costretti a distruggerli», spiegano ancora le fonti.
Intanto la crisi umanitaria cresce di giorno in giorno. Per le fonti il problema principale sta nel malfunzionamento della «distribuzione del cibo»: «I camion sono bloccati, c’è un meccanismo che non funziona (…). Abbiamo qui il più grande spargimento di grano esistente. Se le merci trovate oggi non vengono ritirate, seppelliremo tutto il materiale».
E se da un lato il cibo viene bruciato e seppellito, dall’altro, come riporta Al Jazeera, il governo di Gaza lancia l’allarme per «un disastro umanitario senza precedenti e imminente» in cui 100.000 bambini di età pari o inferiore a due anni, compresi 40.000 neonati, sono a rischio di morte entro pochi giorni. Tale situazione è dovuta a una «completa mancanza di latte per bambini e integratori alimentari e alla continua chiusura dei valichi e al divieto di ingresso delle forniture di base più semplici».
Per il governo di Gaza «siamo di fronte a un’uccisione di massa attesa e deliberata che viene lentamente commessa contro i bambini le cui madri hanno allattato l’acqua invece del latte materno per giorni, a causa della politica di fame e di sterminio perseguita dall’occupazione israeliana».

Unicef: «Inaccettabile la morte di bambini per fame nella Striscia di Gaza»
«I bambini nella Striscia di Gaza stanno morendo di fame. Una grave malnutrizione si sta diffondendo tra i bambini più velocemente di quanto gli aiuti possano raggiungere e il mondo sta guardando che accada». Lo ha affermato Edouard Beigbeder, direttore regionale per Medio Oriente e Nord Africa dell’Unicef, l’agenzia delle Nazioni Unite per l’infanzia, in una dichiarazione riportata dal sito di Unicef Italia.
«Dall’aprile di quest’anno – spiega Beigbeder – il numero di bambini morti per malnutrizione è passato da 52 a 80: uno sconcertante aumento del 54% in meno di tre mesi, secondo il Ministero della Sanità palestinese. In sole 48 ore, almeno altri quattro bambini sono morti di fame. In totale, più di 100 persone sono morte per malnutrizione durante questa guerra, e l’80% di loro sono bambini».
«Queste morti sono inaccettabili e potevano essere evitate. La risposta umanitaria guidata dalle Nazioni Unite deve poter funzionare pienamente attraverso il libero accesso degli aiuti ai bambini bisognosi».
«Senza questo, assisteremo a un ulteriore aumento della malnutrizione acuta. A giugno, il numero di bambini che hanno avuto accesso alle cure per la malnutrizione ha raggiunto i livelli più alti dall’inizio del conflitto, con 6.500 bambini. Il mese di luglio registra già un aumento, con 5.000 bambini che hanno avuto accesso alle cure in sole due settimane. Solo a Gaza City, tra i bambini sottoposti a visite, la percentuale di quelli individuati con malnutrizione acuta è aumentata di quattro volte rispetto a febbraio».
«L’Unicef e i suoi partner rimangono nella Striscia di Gaza per effettuare visite e curare i bambini colpiti da malnutrizione, ma per poter invertire la situazione catastrofica che ci troviamo ad affrontare è urgente un flusso sostenuto e prevedibile di aiuti umanitari e commerciali. Il carburante deve entrare in quantità sufficienti per consentire il funzionamento dei servizi salvavita. I bambini devono essere protetti, non uccisi e non lasciati morire di fame. Abbiamo bisogno di un cessate il fuoco e del rilascio degli ostaggi. E ne abbiamo bisogno adesso».
Se la tragedia non è raccontata, non esiste: raccolta di fondi dei giornalisti italiani per i colleghi palestinesi

Dall’inizio del blocco della Striscia di Gaza, la stampa internazionale si batte per permettere l’accesso ai giornalisti di tutte le testate del mondo, dopo il blocco imposto dal governo israeliano. Permettere il libero accesso alla stampa internazionale, vorrebbe dire consentire un’informazione diretta, obiettiva, senza filtri né da una parte né dall’altra di ciò che succede. Perché allora l’esercito israeliano non permette l’accesso ai cronisti?
L’altra faccia della libera informazione negata è rappresentata dai giornalisti palestinesi uccisi in massa, tanti quanti non sono mai stati uccisi nelle guerre mondiali, insieme alle loro famiglie. Se la tragedia che sta avvenendo a Gaza non può essere documentata né dai giornalisti internazionali né da quelli locali, e i media internazionali non ne parlano adeguatamente, è come se di fronte all’opinione pubblica mondiale non esistesse.
Per sostenere i colleghi palestinesi e le loro famiglie, l’Ordine nazionale dei giornalisti italiani e la Federazione nazionale della stampa italiana (Fnsi), sindacato unitario dei giornalisti, hanno lanciato una raccolta di fondi nell’ambito della campagna di solidarietà “Alziamo la voce per Gaza”.
«Sono oltre 200 i giornalisti palestinesi uccisi dall’esercito israeliano in 22 mesi di guerra – si legge nella pagina del sito dell’Ordine nazionale dei giornalisti dove è illustrata la raccolta di fondi – il divieto di accesso all’informazione internazionale nella Striscia di Gaza e le condizioni ormai allo stremo dei colleghi che continuano a fornire immagini e notizie, mettendo a rischio la vita e la famiglia, impone l’urgenza di aiuti concreti. I fondi raccolti saranno indirizzati ai colleghi attraverso le loro rappresentanze ufficiali e verranno utilizzati per le esigenze che si renderanno prioritarie nel momento in cui avverrà il loro trasferimento».
Le testimonianze raccolte dall’Unicef: «Restare al sicuro o sfamare la propria famiglia», una scelta impossibile

Nella Striscia di Gaza le famiglie si trovano ogni giorno ad affrontare problemi e prendere decisioni inimmaginabili. Lo riferisce, attraverso la raccolta di alcune testimonianze, il sito italiano dell’Unicef, l’agenzia delle Nazioni Unite per l’infanzia. Le riportiamo qui.
«Con le frontiere chiuse e quasi nessuna forma di aiuto raggiungibile – scrive Unicef Italia – il prezzo del cibo è in continuo aumento e bambini e genitori rischiano la loro stessa vita solo per accedere a un po’ di acqua e riso. Molti camminano per ore sotto il sole, fermi in fila, o dormono in strada per poi tornare a mani vuote. Qualche volta senza tornare affatto».
«Nessun bambino – si legge ancora – dovrebbe crescere circondato da fame, paura, morte. Nessun genitore dovrebbe scegliere tra la propria incolumità o il poter sfamare la sua famiglia. Ogni storia ci ricorda che c’è un estremo bisogno di sicurezza, di accesso di aiuti umanitari e di servizi di protezione per i civili. Le famiglie di Gaza hanno diritto a vivere con dignità e sperare in un futuro migliore».
Bilal, 17 anni, vive con i genitori e i fratelli nella città di Gaza
Quando il loro rifugio è stato bombardato e suo padre ha perso l’uso delle gambe ha dovuto provvedere lui alle necessità della famiglia. Disperatamente in cerca di qualcosa da mangiare ma senza denaro per spostarsi, lui e suo cugino hanno camminato per ore da nord a sud nella Striscia di Gaza, fino a un punto di distribuzione non gestito dalle Nazioni Unite in cui speravano di poter trovare qualcosa da portare a casa.
Mentre aspettava in mezzo alla folla, Bilal è stato colpito da una granata che gli ha frantumato un ginocchio. «Alcune persone hanno ricevuto gli aiuti, altre sono rimaste ferite, altre hanno perso la vita – racconta -. È troppo pericoloso».
Fadi, 13 anni parla del centro di distribuzione non gestito dall’Onu
«Anche se è troppo pericoloso, dovevo andarci per prendere il cibo per mia madre. Così io e i miei fratelli possiamo sopravvivere. Non abbiamo niente da mangiare e neanche soldi per comprarne, in ogni caso».
Fadi ha aspettato per ore, con centinaia di altre persone, che aprisse il centro di distribuzione alternativo di Netzarim. «Sono corso lì per prendere una cesta di aiuti – racconta -. Mio padre è stato ucciso e non c’è nessuno che possa aiutare la mia famiglia. Io e i miei fratelli stiamo morendo di fame a causa della mancanza di cibo e dell’aumento dei prezzi».
«Ho perso mio padre e non so come vivere senza di lui»
Ibrahim, 14 anni racconta la sua vita dopo aver perso il padre. Lui e la sua famiglia erano in disperata ricerca di cibo e non hanno avuto altra scelta che recarsi ad un punto di distribuzione. Mentre stavano camminando, ha visto suo padre accasciarsi a terra. Gli avevano sparato in testa.
«Io volevo andare, anche se era pericoloso, per portare qualcosa a casa. Ogni mattina quando mi sveglio e non lo vedo, sto tanto male».
Masoud, 28 anni: tanta sofferenza, per tornare a casa a mani vuote
«Sono stato ferito a una gamba. L’ho stretta con i vestiti e ho iniziato a strisciare indietro. Mi sono nascosto fino al giorno dopo, sperando di avere un’altra chance di avere un po’ di cibo. Ma la mia gamba si è infettata», racconta Masoud, 28 anni.
Dopo la morte dei suoi due gemelli appena nati a causa della malnutrizione, Masoud era determinato a fare di tutto per far sopravvivere i suoi bambini. Incluso rischiare la vita per prendere qualcosa da mangiare. Ha camminato per 25 chilometri, fino al centro di distribuzione (non gestito dalle Nazioni Unite) estremamente affollato.
«Ho dormito per terra, come tutti», racconta, aggiungendo che molte persone cercavano di tenere le teste in basso per paura di essere uccise. «Uscire vivo da lì mi è sembrato come rinascere».
Masoud racconta che intorno alle 3 del mattino una granata è esplosa nei dintorni, ferendo lui e altre persone. «Non sono riuscito a prendere niente. Le persone intorno a me mi hanno aiutato a tornare a casa». Masoud è andato in ospedale, dove i dottori gli hanno confermato di avere la ferita infetta. Ora è tornato a casa dalla moglie e dai suoi due figli. «Tutta questa sofferenza, e la tenda è ancora vuota».
Nessuno dovrebbe rischiare la vita per ricevere aiuti

Ogni singolo giorno, famiglie come quella di Masoud affrontano pericoli, lutti e la fame solo per portare qualcosa a casa e far sopravvivere i loro cari. È necessaria, dice l’Unicef, un’azione concertata e immediata per fermare l’escalation della fame, l’aumento della malnutrizione, la diffusione delle malattie, l’esaurimento dell’acqua e, infine, per prevenire l’aumento delle morti dei bambini.
«Gli aiuti umanitari e le merci – sostiene l’Unicef – devono essere autorizzati ad entrare, da tutti i i valichi disponibili e consegnati in tempi rapidi, in sicurezza e con dignità alle persone che ne hanno bisogno. Nessuno dovrebbe rischiare la vita per ricevere un aiuto. Eppure, da maggio 2025 decine di bambini hanno perso la vita solo perché cercavano aiuto, nella maggior parte dei casi vicino ai siti di distribuzione non gestiti dalle Nazioni Unite».
L’Onu ha le forniture e l’esperienza necessarie, deve poter rientrare
Le Nazioni Unite, scrive Unicef Italia sul suo sito, devono essere autorizzate ad entrare per distribuire tutti i tipi di beni necessari alla sopravvivenza delle famiglie, ovunque si trovino.
«Abbiamo le forniture e l’esperienza per svolgere questo lavoro in linea con i principi umanitari del rispetto, della neutralità, dell’empatia, dell’imparzialità e dell’indipendenza. Il nostro piano segue i bisogni delle persone e si fonda sulla fiducia delle comunità, dei donatori e degli Stati Membri. Durante l’ultimo cessate il fuoco, abbiamo dimostrato che questo sistema funziona, consegnando oltre 600 camion di aiuti in un solo giorno. Dobbiamo poterlo fare di nuovo. Nessun genitore dovrebbe dover scegliere tra la propria sicurezza e sfamare la propria famiglia. E nessun bambino dovrebbe esser costretto a mettersi nei panni dei propri genitori e affrontare la stessa scelta impossibile».








